DISFUNZIONI MITOCONDRIALI E DANNI DA PERMANENZA NELLO SPAZIO

Mitocondri, tallone d’Achille degli astronauti

Uno studio pubblicato ieri nella rivista Cell utilizza e combina diverse analisi “omiche” raccolte in decenni di esplorazione spaziale per comprendere gli effetti di microgravità e raggi cosmici sulla salute degli astronauti. Per la prima volta gli scienziati hanno individuato una causa sistemica che spiegherebbe diverse disfunzioni dell’organismo - dalla perdita di tessuto osseo e muscolare ai danni cardiovascolari: l’alterazione nella funzionalità mitocondriale. Questa nuova consapevolezza potrà guidare nuovi interventi nutrizionali e farmaceutici volti a migliorare le condizioni di salute e i rischi connessi alla permanenza nello spazio, soprattutto in vista di future missioni di lunga durata sulla Luna o su Marte

     26/11/2020

Luca Parmitano si esercita alla cyclette sulla Stazione spaziale. Crediti: Esa, Nasa

A molti sarà capitato di assistere – virtualmente – al rientro sulla Terra di astronauti al termine del loro soggiorno presso la Stazione spaziale internazionale. La prima cosa che salta all’occhio, quando li vediamo uscire dalla capsula di atterraggio, è che si tratta di un rientro tutt’altro che trionfale: non si reggono in piedi. Nonostante l’attività fisica giornaliera – e obbligatoria – che essi svolgono in orbita, infatti, i muscoli perdono di tono e il sistema muscolo-scheletrico non è più in grado di sostenere il peso inferto dalla ritrovata gravità – sebbene sia questo l’habitat naturale in cui il corpo umano è progettato per nascere, crescere e svolgere qualunque attività.

Affinché l’esplorazione umana dello spazio abbia successo – in particolar modo in vista di futuri programmi che prevedono il ritorno dell’uomo sulla Luna e la prima missione umana su Marte – è fondamentale capire – e trovare il modo di affrontare – le cause alla base dei problemi di salute osservati nei viaggiatori spaziali. Assieme alla perdita di massa ossea – osteoporosi accelerata – e muscolare, la permanenza in microgravità e l’esposizione prolungata ai raggi cosmici causa sintomi simili allo stress geriatrico, tra cui disfunzioni del sistema nervoso centrale, perdita della vista, disfunzioni immunitarie, un aumento del rischio di contrarre tumori, problemi cardiovascolari ed epatici. In un nuovo studio pubblicato ieri su Cell, i ricercatori hanno utilizzato per la prima volta un approccio sistemico al problema – cercando cioè la causa fisiologica che accumunasse i sintomi registrati – per esaminare queste alterazioni biologiche diffuse.

«Abbiamo iniziato chiedendoci se ci sia un qualche tipo di meccanismo universale che coinvolge il corpo intero nello spazio e che possa spiegare quello che abbiamo osservato», dice l’autore senior dello studio, Afshin Beheshti, bioinformatico alla Space Biosciences Division della Nasa. «Quello che abbiamo notato più e più volte è che succede qualcosa a livello di regolazione mitocondriale, che manda fuori fase tutto il sistema».

Gli scienziati hanno analizzato i dati raccolti nella piattaforma GeneLab della Nasa (un database completo che include informazioni provenienti da studi su animali), dallo studio sui gemelli Nasa Twin Study e dai campioni di sangue e metaboliti dell’urina raccolti da 59 astronauti coinvolti nelle missioni spaziali avvenute dal 2006 al 2017. In particolare, il lavoro si basa quattro modelli di cellule umane, 13 diversi tessuti (11 di origine animale e 2 umani) e 2 diversi ceppi di topo. Da questi campioni viene estratta una serie di dati “omici” (proteomici, metabolomici, trascrittomici ed epigenomici) quantitativi relativi ai cambiamenti nei tessuti e nelle cellule che si verificano a causa dell’effetto combinato della radiazione spaziale e della microgravità.

«Abbiamo confrontato tutti questi tessuti differenti di topi che hanno volato nello spazio in due diverse missioni, e abbiamo visto che la disfunzione mitocondriale continuava a emergere», continua Beheshti. «Abbiamo considerato patologie del fegato e abbiamo visto che erano causate da meccanismi legati ai mitocondri. Poi abbiamo guardato i problemi agli occhi e abbiamo visto lo stesso. È stato allora che abbiamo cominciato ad approfondire la questione in questa direzione».

Da sinistra, Scott e Mark, i gemelli Kelly. Crediti: Nasa

I ricercatori spiegano quindi che la soppressione mitocondriale, così come la sovracompensazione che a volte può verificarsi a causa di tale soppressione, può portare a risposte sistemiche da parte di molti organi e può anche causare alcune comuni mutazioni nel sistema immunitario. L’analisi ha mostrato una significativa alterazione nei processi mitocondriali, così come fenomeni di immunità innata, infiammazione cronica, mutazioni nel ciclo cellulare, nel ritmo circadiano e nelle funzioni olfattive. Usando le loro scoperte sui topi come punto di partenza, i ricercatori hanno poi verificato se gli stessi meccanismi potessero prendere piede nei viaggiatori spaziali umani. Prove a favore di una disfunzione mitocondriale e conseguenti danni al Dna sono stati trovati nei dati metabolici di urine e sangue dei 59 astronauti e confermati dai dati del Nasa Twin Study – un programma in cui i due gemelli identici Scott e Mark Kelly sono stati seguiti nel tempo, il primo sulla Stazione spaziale internazionale e il secondo a Terra, e che hanno riportato numerosi cambiamenti nell’attività mitocondriale. Alcuni di questi cambiamenti potrebbero spiegare le alterazioni nella distribuzione delle cellule immunitarie che si sono verificate in Scott durante il suo anno nello spazio.

«Sono rimasto assai sorpreso nel vedere che i mitocondri sono così importanti, perché non erano nei nostri radar. Ci stavamo concentrando su tutte le componenti sintomatiche a valle, e non avevamo ancora fatto questo collegamento», dice Beheshti, sottolineando come le disfunzioni mitocondriali possano anche aiutare a spiegare un altro problema comune connesso alla permanenza nello spazio: la perturbazione dei ritmi circadiani.

L’analisi biologica quantitativa condotta dagli scienziati si è concretizzata in tre principali scoperte, riassunte a conclusione del manoscritto. La prima: gli effetti del volo spaziale sono più evidenti nelle cellule isolate che negli organi interi, indicando il ruolo fondamentale giocato dalla complessità dei tessuti nella risposta allo stress sistemico legato allo spazio. In secondo luogo, il fegato subisce cambiamenti maggiori e diversi a livello genetico e nella conseguente espressione proteica rispetto ad altri organi – risultato in linea con il ruolo critico del fegato in quanto centro dinamico di rilevazione dei cambiamenti nella composizione sanguigna e nel mantenimento dell’omeostasi. Infine, l’analisi ha evidenziato come il volo spaziale influisca sulla funzione mitocondriale a livello genetico, proteico e metabolico della biologia cellulare, tissutale e organica.

L’abstract grafico dello studio pubblicato su Cell. Crediti: Willian A. da Silveira et al., Cell, 2020

Lo studio della Nasa non si è concentrato solo sui danni. Contromisure per contrastare gli effetti negativi del volo spaziale sul corpo umano prevedono procedure o interventi nutrizionali e terapeutici volti a mantenere la salute, ridurre i rischi e migliorare la sicurezza. Oggigiorno, la principale contromisura applicata agli astronauti è l’esercizio fisico – che dovrebbe contrastare anche l’effetto della microgravità sul sistema cardiovascolare. Gli astronauti a bordo della Iss si esercitano fino a due ore al giorno, ma finora né l’intensità né la durata dell’esercizio hanno mostrato un’efficacia sufficiente nel ridurre la notevole perdita ossea muscolare registrata, né riescono a prevenire mutazioni vascolari come l’aumento dello spessore arterioso e medio-intimale, l’atrofia cardiaca e lo sviluppo della resistenza all’insulina. Oltre all’esercizio fisico, sottolinea lo studio, in futuro la prevenzione deve dare spazio all’impiego della farmacoterapia e di adeguati interventi nutrizionali già utilizzati nei pazienti con disfunzioni mitocondriali sulla Terra.

«Ci sono già molti farmaci approvati per vari disturbi mitocondriali, e sarebbe quindi relativamente semplice indirizzarli verso questa applicazione», osserva Beheshti. «La soluzione più semplice sarebbe quella di testare alcuni di questi farmaci con modelli animali e cellulari nello spazio».

Un aspetto essenziale della salute metabolica degli astronauti, anche a livello preventivo, è il consumo dell’apporto energetico consigliato – il giusto equilibrio fra carboidrati, grassi, vitamine e minerali. Il campo della terapeutica nutrizionale mitocondriale è ancora in evoluzione, ma ci sono già alcune prove che indicano trattamenti efficaci. Il candidato più forte è il coenzima Q10 – CoQ10, un radicale libero lipidico solubile in nutrienti che protegge le cellule contro i danni ossidativi – che dovrebbe essere somministrato alla maggioranza dei pazienti con patologie mitocondriali primarie, indipendentemente dalla carenza di CoQ10. Il suo impiego è attualmente in fase di test sulla Iss come contromisura per le lesioni alla retina, e i risultati potrebbero portare, in futuro, verso il suo utilizzo come contromisura più generale.

Per saperne di più:

  • Leggi su Media Inaf l’intervista al primo autore dello studio, Willian A. da Silveira
  • Leggi su Cell l’articolo “Comprehensive Multi-omics Analysis Reveals Mitochondrial Stress as a Central Biological Hub for Spaceflight Impact”, di Willian A. da Silveira, Hossein Fazelinia, Sara Brin Rosenthal, Evagelia C. Laiakis, Man S. Kim, Cem Meydan, Yared Kidane, Komal S. Rathi, Scott M. Smith, Benjamin Stear, Yue Ying, Yuanchao Zhang, Jonathan Foox, Susana Zanello, Brian Crucian, Dong Wang, Adrienne Nugent, Helio A. Costa, Sara R. Zwart, Sonja Schrepfer, R.A. Leo Elworth, Nicolae Sapoval, Todd Treangen, Matthew MacKay, Nandan S. Gokhale, Stacy M. Horner, Larry N. Singh, Douglas C. Wallace, Jeffrey S. Willey, Jonathan C. Schisler, Robert Meller, J. Tyson McDonald, Kathleen M. Fisch, Gary Hardiman, Deanne Taylor, Christopher E. Mason, Sylvain V. Costes e Afshin Beheshti