È ITALIANO IL PRIMO MODELLO ANALITICO CHE LEGA SEGNALI SISMICI E ATMOSFERICI

La terra trema e l’atmosfera risponde

Come un tamburo, quando il nostro pianeta trema a causa di un terremoto emette onde gravito-acustiche che si propagano e generano perturbazioni atmosferiche misurabili. Tali segnali sono stati rivelati dal satellite italo-cinese Cses-01, che passava sopra l’epicentro del terremoto del 5 agosto 2018 a Bayan, Indonesia, sei ore prima e al momento della scossa. Un nuovo modello analitico tutto italiano e unico nel suo genere è stato sviluppato allo scopo di associare le misure satellitari all’attività sismica e migliorare la comprensione dei fenomeni precursori dei terremoti. Lo studio è stato appena pubblicato sulla rivista Remote Sensing Mdpi. Media Inaf ha intervistato il primo autore, Mirko Piersanti dell’Infn

     30/10/2020

Mirko Piersanti, autore del primo modello analitico che collega eventi sismici e anomalie atmosferiche

«Ho vissuto molto tempo a L’Aquila ed ero proprio lì durante il terremoto del 2009. Sono rimasto senza casa, così come migliaia di miei concittadini. Lavoravo all’università de L’Aquila dove mi sono sempre occupato di interazioni Terra-Sole, tempeste geomagnetiche, innesco di correnti ionosferiche potenzialmente dannose sulla Terra,  e sono entrato a far parte del team italo-cinese Cses-Limadou nel 2018. La mia esperienza personale è una delle ragioni più profonde per cui ho accettato immediatamente la proposta di partecipare a questo progetto riguardante lo studio dei terremoti».

La missione Cses-Limadou di cui parla Mirko Piersanti, ricercatore all’Istituto nazionale di fisica nucleare (Infn) a Roma “Tor Vergata”, è una collaborazione italo-cinese che finora ha portato a termine la realizzazione e il lancio di un satellite, Cses-01, allo scopo di misurare segnali atmosferici anomali concomitanti e precedenti un evento sismico. Il satellite ha misurato, ad esempio, le anomalie ionosferiche e magnetosferiche durante e qualche ora prima del terremoto avvenuto il 5 agosto 2018 a Bayan, in Indonesia. Piersanti è anche il primo autore di uno studio tutto italiano che ha sviluppato un modello analitico unico e innovativo in grado di descrivere l’insorgenza di tali anomalie atmosferiche – e che è stato testato con successo proprio sui dati raccolti durante il terremoto di Bayan.

Come mai avete scelto proprio il terremoto di Bayan?

«Il satellite è stato lanciato nel febbraio 2018, e il 5 agosto – durante il terremoto di Bayan – ha transitato esattamente sopra l’epicentro sei ore prima e durante la scossa. È stato il primo evento sismico del quale Cses-01 abbia potuto raccogliere dati – un’ottima occasione per noi per sfruttarne le potenzialità».

Che genere di terremoto è stato?

«Si è trattato di un terremoto di media magnitudo, circa 6.9, che rispetto ad altri terremoti ha provocato danni relativamente contenuti. È stato però un terremoto particolare perché ha registrato una peak ground acceleration – l’accelerazione che subisce il terreno nel momento in cui avviene la rottura fra le due faglie che scorrono – dell’ordine di 0.5 g, come se le strutture interessate in quella zona aumentassero il loro peso del 50 per cento in pochi istanti. Per fare un confronto, il terremoto delle Fiji avvenuto nello stesso anno – e di magnitudo significativamente maggiore, circa 8.2 – ha avuto un’accelerazione a terra appena superiore, 0.6 g. Il terremoto di Bayan era quindi un buon candidato per testare il nostro modello analitico di previsione a breve termine dei segnali atmosferici correlati a un evento sismico».

Su cosa si basa il modello?

«Il nostro modello analitico si basa non tanto sulla magnitudo – che è un indicatore dell’energia sprigionata da un terremoto – quanto su caratteristiche locali di un evento sismico come la lunghezza della faglia, l’accelerazione del terremoto e la sua frequenza tipica. Si basa sul fatto che, superata una determinata soglia nel valore di questi parametri, ci aspettiamo che in atmosfera si sviluppi un’onda gravito-acustica che poi si propaga fino in alta atmosfera (ionosfera). Possiamo pensare a queste onde come a quelle emesse quando si fa vibrare un tamburo. In questo caso, la Terra è il tamburo che emette onde sonore che si propagano in atmosfera, raggiungono altitudini elevate fino alla ionosfera, e la perturbano portandola a una specie di stato metastabile. La ionosfera, poi, per tornare allo stato stazionario emette onde elettromagnetiche che possono essere rivelate da un satellite come Cses, esattamente come è successo a Bayan».

È la prima volta che si identifica una relazione fra eventi sismici e atmosferici come quella che avete studiato nel vostro studio?

«Non è la prima volta, studi del genere sono cominciati dopo il 1980 grazie ai satelliti russi del progetto Intercosmos. È la prima volta, però, che queste correlazioni vengono spiegate con un modello totalmente analitico. Il nostro è un modello matematico – per ora co-sismico, cioè mira a descrivere fenomeni che si attivano solo fino a qualche ora prima del sisma – che contempla l’insorgenza di una serie di segnali anomali emessi dalla ionosfera e dalla magnetosfera. Segnali che possono essere poi sperimentalmente confermati da satelliti Cses-01 e da altri rivelatori a Terra».

È un tema molto sensibile quello della previsione di catastrofi naturali come i terremoti, e a una prima occhiata può sembrare che il vostro lavoro consenta proprio di prevedere i terremoti. È questo il significato corretto da attribuirvi?

«Ottima domanda, mi aspetto che effettivamente lo studio possa indurre questa reazione nelle persone, e la capisco bene avendo vissuto un evento sismico significativo in prima persona. È importante quindi sottolineare che questo studio non è capace di prevedere i terremoti, nel senso che non possono essere inseriti dei parametri nel modello per prevedere la presenza di segnali premonitori di un terremoto. Inoltre, è un modello in corso di validazione – è nuovissimo, anche se ad oggi è stato testato con successo su sei terremoti».

Cosa significa?

«Significa che abbiamo delle osservazioni successive al terremoto che sono in grado di essere giustificate con il modello. ‘Prevedere’ significa invece che, una volta validato, è possibile dare in input al modello dei parametri tipici per verificare se, in un luogo a rischio, vi sia evidenza di determinate emissioni elettromagnetiche. Un altro problema è che le emissioni elettromagnetiche che cerchiamo sono immerse nel rumore delle emissioni indotte dall’interazione con la nostra stella, il Sole. I livelli energetici di queste interazioni sono centinaia di volte superiori rispetto a quelli provenienti da un terremoto – è come trovare un ago in un pagliaio. Il caso di Bayan è stato un caso fortunato, perché l’attività solare era al minimo e siamo riusciti a distinguerla dalle emissioni provenienti dal terremoto. Più che prevedere, direi che sappiamo giustificare con accuratezza scientifica le osservazioni fatte col satellite qualche ora prima e durante un terremoto».

Il satellite italo-cinese Cses-01. Crediti: Cses Collaboration

Diceva che il modello è stato già applicato e testato su altri terremoti. Avete quindi ritrovato anche per questi i parametri osservati?

«L’abbiamo applicato al terremoto de L’Aquila e ha funzionato: il nostro modello non prevedeva che vi fossero emissioni di onde gravito-acustiche e conseguenti onde elettromagnetiche dalla ionosfera, ed effettivamente non sono state osservate. Ha funzionato anche per il terremoto di Kobe, in Giappone, avvenuto nel 1995 e caratterizzato da una magnitudo elevatissima, 7.2 – che ha causato più di seimila morti. In questo caso il nostro modello ha previsto l’emissione di onde gravito-acustiche in atmosfera che sono state sperimentalmente rilevate. Non ha funzionato invece per il terremoto delle Fiji del 2018: il modello non prevedeva l’emissione di onde che invece sono state registrate. Stiamo cercando di capire come mai questo contrasto – forse dipende dalla profondità del sisma, avvenuto a più di 300 km sottoterra, a differenza degli altri che sono avvenuti al massimo a 30km di profondità – ma non siamo preoccupati perché i fallimenti fanno parte della statistica di validazione del modello».

Sarà possibile, in futuro, impiegare questo modello per rilevare alcuni parametri d’allarme misurabili nei siti di monitoraggio installati nelle zone a rischio?

«Certamente. Innanzitutto, speriamo di migliorare il nostro modello e trovarne i punti deboli grazie al confronto con la comunità scientifica – negli ultimi tre giorni, da quando è stato pubblicato, l’articolo ha già avuto 500 download da ricercatori di tutto il mondo. Inoltre, nel momento in cui avrà un coefficiente di fallimento basso – direi inferiore al venti per cento – potrà essere impiegato per guidare l’installazione di strumentazione adeguata a rivelare i parametri predetti nei siti a rischio».

Questi siti, attualmente, che tipo di strumentazione hanno per fare prevenzione?

«L’unica cosa che c’è sono i sismografi e l’unico vero metodo di previsione è di tipo statistico. Ad esempio, negli anni 2000 ci fu un articolo del professor Scarpa, dell’Università di Napoli Federico II, che diceva che entro una decina d’anni – seguendo la periodicità statistica dei terremoti a L’Aquila, che si ripetono ogni 300 anni circa – ci sarebbe stato un forte evento sismico. E così è stato. Lo scopo della previsione statistica, come quello dell’articolo di Scarpa, è quello di aiutare a prendere contromisure adeguate – ad esempio costruendo case, scuole e strade con tecnologia antisismica. È questo l’unico tipo di prevenzione che si può fare per i terremoti: puramente a livello statistico ma fondamentale».

Su che principio si basano le previsioni statistiche?

«Ogni faglia ha dei tempi specifici di ricarico. La faglia è schematizzabile nel modo più semplice come una molla. Quando una molla viene estesa, ha un tempo caratteristico di oscillazione per poter tornare nel suo stato di equilibrio. La faglia fa la stessa cosa, ma invece che impiegare un tempo brevissimo come una molla, ha bisogno di tempi geologici. La faglia che ha generato il terremoto dell’Aquila ha un tempo caratteristico di ricarica di circa 300 anni. Da un punto vista analitico, un sistema di equazioni linearizzate come il nostro è l’unico che consente di identificare possibili segnali anomali. Studi di correlazione fra segnali sotterranei e atmosferici c’erano anche prima del nostro studio, ma quel che mancava era un modello capace di derivare – in base a parametri caratteristici di un terremoto – gli osservabili atmosferici. Infatti, senza un modello di questo tipo, identificare segnali e distinguerli dall’attività solare è impossibile. Ecco perché occorre installare strumenti che identifichino questi segnali nei luoghi a rischio».

I vostri satelliti, ad esempio?

«Sì, l’idea dei colleghi cinesi è quella di arrivare a lanciare 12 satelliti come Cses-01 e 02 per coprire tutto il globo (uno per ogni ora locale) e procedere così all’identificazione sistematica di possibili anomalie atmosferiche. Anche perché andare nello spazio è molto più facile che studiare una faglia direttamente andando sotto terra».

Quali strumenti monta un satellite come Cses-01?

«Cses-01 è il primo satellite lanciato da una collaborazione italo-cinese ed è il primo nel suo genere a montare un rivelatore di campo elettrico, uno di campo magnetico, due rivelatori di particelle (sviluppati proprio dall’Infn), un rivelatore di plasma e due magnetometri. Tutti questi strumenti servono a identificare possibili anomalie – di tipo elettromagnetico e particellare – precedenti e possibilmente associate a un terremoto. Il satellite Cses-01 è in grado di identificare contemporaneamente tutti questi segnali».

Quando lancerete il secondo satellite?

«Il lancio era previsto per marzo 2022 , ma a causa dell’epidemia di Covid la produzione degli strumenti scientifici è stata rallentata sia in Italia che in Cina, e il lancio potrà essere rimandato di alcuni mesi. A bordo ci saranno questa volta due strumenti italiani, un rivelatore di particelle (sviluppato dall’Infn) e uno di campo elettrico (sviluppato dall’Inaf-Iaps) migliorato rispetto a quello presente sul primo satellite. Il terzo satellite, Cses-03, è appena stato approvato dal parlamento cinese».


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