LO STUDIO È PUBBLICATO SU NATURE

All’origine della Corrente di Magellano

Grazie a nuove simulazioni idrodinamiche condotte per riprodurre la Corrente di Magellano, un ponte di gas che unisce la Via Lattea alle Nubi di Magellano, un team di astronomi dell’Università del Wisconsin-Madison (Usa) ha scoperto che la chiave per la sua formazione potrebbe essere la materia dell’alone che avvolge le Nubi

     09/09/2020

La copertina di Nature mostra attraverso simulazioni numeriche come apparirebbe nel cielo notturno la corrente di Magellano. Crediti: Colin Legg, Scott Lucchini

La nostra galassia è avvolta da un gigantesco alone galattico, una nube sferica composta da stelle, polveri, gas (idrogeno) e materia oscura che si estende per circa 10-30 volte la distanza tra il centro della Via Lattea e il Sole.

Al suo interno si trova una struttura gassosa chiamata Corrente Magellanica: un esteso ponte filamentoso costituito da gas neutro e ionizzato strappato dalla Via Lattea alle Nubi di Magellano, le due piccole galassie – la Grande (Lmc) e la Piccola Nube di Magellano (Smc) – che orbitano attorno alla nostra galassia come satelliti.

Sebbene siano stati condotti diversi studi per cercare di spiegare l’origine del gas che costituisce questo flusso, i modelli ottenuti sin’ora non sono in grado di descriverne l’enorme massa: oltre un miliardo di volte quella del Sole.

Uno studio condotto da astronomi dell’Università del Wisconsin-Madison (UW-Madison, Usa), i cui risultati sono stati pubblicati oggi su Nature, sembra ora aver trovato una soluzione al problema della “massa mancante”, grazie a nuove simulazioni e a modelli di formazione del flusso di gas nei quali è stato aggiunto un nuovo “ingrediente”: la materia dell’alone delle Nubi di Magellano, o corona.

«I modelli di formazione della corrente magellanica esistenti sono obsoleti perché non possono dar conto della sua massa», spiega Scott Lucchini, dottorando al Dipartimento di fisica della UW-Madison e primo autore della pubblicazione.

«Questo è il motivo per cui abbiamo pensato a una nuova soluzione, che spiega in modo eccellente la massa del flusso – la domanda più urgente da risolvere», aggiunge la supervisor dello studio Elena D’Onghia, nata a Vercelli e oggi al Dipartimento di astronomia della UW-Madison.

La soluzione a cui si riferisce D’Onghia è stata, appunto, quella d’includere nelle simulazioni idrodinamiche che riproducono la Corrente di Magellano anche la corona: l’alone di gas caldo che circonda le due Nubi.

Elena D’Onghia, professoressa associata al Dipartimento di astronomia dell’Università del Wisconsin, Madison (Usa)

Recentemente, gli astronomi hanno infatti scoperto che le due galassie satelliti della nostra Via Lattea sono abbastanza massicce da avere il proprio alone di gas caldo che le avvolge. D’Onghia e il suo team hanno capito che questa corona sarebbe stata cruciale per comprendere il modo in cui il flusso si è formato.

Secondo il nuovo modello ottenuto dai ricercatori, la formazione della Corrente sarebbe avvenuta in due tempi: quando le Nubi di Magellano erano ancora lontane dalla Via Lattea, prima cioè che la forte attrazione gravitazionale della nostra galassia le catturasse nella sua orbita; e, più tardi, quando le nubi di Magellano caddero nell’orbita della Via Lattea, la corona contribuì al flusso totale della Corrente di Magellano con un quinto della propria massa. E poiché la corona è priva di stelle, questo spiega anche il perché la corrente magellanica ne sia priva.

«Nei nostri modelli», spiega D’Onghia a Media Inaf, «la Corrente magellanica è formata per il 20 per cento da gas freddo (idrogeno neutro, HI), pari a circa 500 milioni di masse solari, e per la restante parte – circa 1.5 miliardi di masse solari – da gas ionizzato: quest’ultimo costituito per il 40 per cento da gas marealmente strappato dalla Piccola Nube di Magellano e riscaldato dalla corona di gas magellanico, e per il rimanente 60 per cento da gas della corona magellanica. Numeri che sono in accordo con i dati osservativi».

«La corrente magellanica è un puzzle da 50 anni», sottolinea Andrew Fox, astronomo allo Space Telescope Science Institute e coautore dello studio. «Non abbiamo mai avuto una spiegazione convincente per la sua provenienza. E il fatto che ora ci stiamo avvicinando a trovarla è davvero emozionante».

Il modello ottenuto dai ricercatori può  essere verificato direttamente. Il telescopio spaziale Hubble dovrebbe infatti essere in grado di vedere le tracce rivelatrici della corona di gas magellanico che circonda le Nubi di Magellano, confermando i risultati.

«Questo lavoro», conclude il direttore del Sydney Institute for Astronomy (Australia) e co-autore dello studio Joss Bland-Hawthorn, «ridefinisce la nostra comprensione del modo in cui il gas accresce la Via Lattea e forma il serbatoio per la futura formazione stellare».

Per saperne di più:

Guarda il video con la simulazione (crediti: Scott Lucchini):