TEST DEL MODELLO DIÓSI-PENROSE NEI LABORATORI DEL GRAN SASSO

Sotto la montagna, il gatto è vivo o morto?

Il principio di sovrapposizione degli stati quantistici, un principio che vale nel mondo microscopico ma non in quello macroscopico, ha sempre dato molti grattacapi a chi tenta di unire questi due mondi. Una ricerca internazionale va al cuore del problema approfondendo sperimentalmente una soluzione che cerca di unirli usando la forza di gravità. Ne parliamo con Sandro Donadi, primo autore dello studio e ricercatore al Frankfurt Institute for Advanced Studies

     07/09/2020

Sandro Donadi, di Conegliano Veneto (TV), è ricercatore al Frankfurt Institute for Advanced Studies. La sua attività di ricerca è focalizzata principalmente sui fondamenti della meccanica quantistica

Il celebre gatto di Schrödinger, figura entrata ormai a pieno regime nella cultura popolare, è un paradosso che riguarda il mondo quantistico. Erwin Schrödinger lo elaborò infatti per spiegare come le leggi che governano i quanti diventino problematiche se applicate alla vita di tutti i giorni perché il mondo microscopico segue leggi complesse e controintuitive. Una stessa particella si può trovare contemporaneamente in stati differenti, come il gatto di Schrödinger appunto, sia vivo che morto allo stesso tempo.

Una nuova ricerca internazionale – che coinvolge, tra gli altri, anche l’Infn – ha cercato di approfondire dal punto di vista sperimentale il modello di Diósi–Penrose: una soluzione che cerca di unire le regole dei due mondi, quello quantistico e quello macroscopico, usando la forza di gravità. Per capire in cosa consista il risultato ottenuto, Media Inaf ha raggiunto Sandro Donadi, primo autore dello studio e ricercatore al Frankfurt Institute for Advanced Studies.

Dottor Donadi, partiamo proprio dal gatto di Schrödinger: cosa c’entra il famoso felino quantistico con la vostra ricerca sul principio di sovrapposizione?

«Il gatto è il prototipo di quelle che chiamiamo sovrapposizioni macroscopiche. Sappiamo per certo che il principio di sovrapposizione vale per sistemi microscopici. Al contrario, nel mondo macroscopico, non osserviamo sovrapposizioni: un gatto è vivo o (speriamo di no!) morto, non in una sovrapposizione dei due stati. L’equazione di Schrödinger prevedrebbe sovrapposizioni in sistemi arbitrariamente grandi. Per questo è stato introdotto il concetto di collasso, quel momento in cui i sistemi passano da una sovrapposizione di stati a uno stato singolo a causa dell’interazione con uno strumento di misura. La teoria è però ambigua nell’individuare la transizione tra le due dinamiche: perché mai per uno strumento di misura, formato dalle stesse particelle che seguono l’equazione di Schrödinger, dovrebbe valere una regola diversa, quella del collasso appunto? Quando un sistema è grande o complesso abbastanza da poter essere considerato uno “strumento di misura”?»

E allora come si può fare?

«Una possibile soluzione al problema è quella di modificare l’equazione di Schrödinger introducendo nella dinamica il collasso stesso. Il primo soddisfacente modello in questa direzione è stato il modello Grw (da Ghirardi-Rimini-Weber, che lo proposero nel 1986). Il gruppo del professor Angelo Bassi, di Trieste, coautore del lavoro e mio supervisor di dottorato, è specializzato da anni nello studio teorico di questo modello e delle sue generalizzazioni. Pochi anni dopo l’introduzione del modello Grw, Lajos Diósi (anche lui coautore del lavoro) e – indipendentemente – Roger Penrose hanno introdotto l’idea che il collasso spontaneo possa essere legato alla gravità. Per tale ragione, il modello è noto in letteratura col nome modello Diósi-Penrose (Dp). Il nostro lavoro si è concentrato nel testare questo modello».

Per quale ragione è tanto difficile unire la meccanica quantistica e la meccanica del mondo che viviamo tutti i giorni?

«Credo vi siano diverse ragioni, ma quella fondamentale è proprio il problema della misura. Il modello Dp, e in generale i modelli di collasso, offrono una soluzione a tale problema. Le modifiche all’equazione di Schrödinger sono tali da essere in buona approssimazione trascurabili per microsistemi, ma grazie a un meccanismo di amplificazione diventano predominanti per sistemi macroscopici, spiegando perché non li osserviamo in sovrapposizione. Un’altra teoria a mio parere degna di nota, come risoluzione al problema della misura, è quella della meccanica Bohmiana, che riesce a spiegare in modo soddisfacente la transizione dal mondo microscopico a quello macroscopico, almeno a livello non-relativistico. Una grande sfida aperta è proprio quella di generalizzare queste soluzioni in contesto relativistico, un problema tutt’altro che banale. Esiste anche la teoria della decoerenza, che descrive la dinamica di sistemi quantistici in interazione con un ambiente esterno riuscendo a spiegare alcuni aspetti della transizione dal mondo quantistico a quello classico. Quello che però non riesce a spiegare è proprio il collasso».

E cosa ne è di due concetti tipicamente quantistici, quali appunto sovrapposizione e collasso, quando si passa al mondo classico?

«La ricerca nella comunità scientifica è molto attiva nel cercare di determinare fino a che punto il principio di sovrapposizione sia valido. Nel caso del modello Dp, su cui abbiamo focalizzato il nostro lavoro, si assume l’esistenza di un collasso che localizza la funzione d’onda nello spazio e la cui intensità cresce al crescere della massa del sistema in sovrapposizione. L’idea è che un oggetto sufficiente massivo, se messo in una sovrapposizione “qui” + “là”, indurrà una sovrapposizione di differenti spazio-tempi curvati in maniera diversa. Roger Penrose suggerisce argomenti molto interessanti, secondo i quali la Natura tende a sopprimere sovrapposizioni di diversi spazio-tempi. Tale soppressione, che avviene con un collasso spaziale delle funzioni d’onda, è perfettamente trascurabile per sistemi microscopici come particelle o atomi, ma diventa rilevante già nel mondo mesoscopico (quello a metà strada tra il microscopico e il macroscopico) e completamente dominante in quello macroscopico. Quindi nel modello Dp la violazione del principio di sovrapposizione è graduale, e cresce al crescere della massa del sistema considerato».

Ingresso della galleria sotterranea dei Laboratori nazionali del Gran Sasso. Crediti: Infn

Nel vostro studio, in particolare, come avete affrontato il problema?

«In questa ricerca abbiamo posto dei forti limiti sul modello Dp ed escluso una sua versione senza parametri liberi suggerita da Penrose. Un test diretto del modello Dp richiederebbe di creare sovrapposizioni spaziali di oggetti sufficientemente massivi e stabili per tempi sufficientemente lunghi. Nel nostro lavoro abbiamo attaccato il problema in maniera indiretta, sfruttando il fatto che nel modello Dp il collasso spontaneo genera un moto disordinato (simil-browniano) nelle particelle. Se queste sono cariche, come i protoni e gli elettroni nella materia, tale moto induce l’emissione di fotoni, un’emissione molto debole ma rilevabile».

Come vi siete divisi i compiti, e che risultati avete ottenuto, alla fine?

«L’analisi teorica è stata fatta da me, Angelo Bassi dell’Università di Trieste e Lajos Diósi del Wigner Research Centre for Physics di Budapest. Come risultato, abbiamo provato che il tasso di fotoni emessi dipende, tra le altre cose, in modo cruciale da un parametro R0 che, semplificando, dà una misura dell’estensione spaziale della densità di massa delle particelle. L’analisi sperimentale è stata fatta da Catalina Curceanu dei Laboratori nazionali di Frascati, il cui gruppo lavora da anni nei test sui modelli di collasso, Matthias Laubenstein, sempre dei Laboratori nazionali del Gran Sasso, e Kristian Piscicchia del Centro ricerche Enrico Fermi di Roma. Questa ha richiesto, oltre alla misura stessa, una dettagliata simulazione delle sorgenti di rumore e una dettagliata analisi statistica dei dati rilevati. Come risultato, l’esperimento ha posto il limite inferiore su R0 di 0,054 nanometri, quasi mille volte più grande del precedente limite presente in letteratura scientifica. Nella versione del modello suggerita da Penrose, R0 può essere calcolato a partire dalla funzione d’onda del sistema, ma il valore che si ottiene è dieci volte più piccolo di quanto abbiamo ottenuto con il nostro esperimento. Se il valore di Penrose fosse corretto, l’esperimento avrebbe dovuto rilevare molti più fotoni di quelli che abbiamo misurato».

Perché nei Laboratori del Gran Sasso? Qual è il vantaggio di lavorare al di sotto di una montagna, per un esperimento come il vostro?

«Il motivo principale è ridurre al minimo le sorgenti esterne di rumore. Per dare un’idea del livello di sensibilità richiesto, abbiamo osservato solamente 576 fotoni in un tempo di misurazione pari a 62 giorni. I Laboratori del Gran Sasso offrono un ambiente a bassissimo rumore unico, da questo punto di vista».

Tornando al risultato che avete ottenuto: possiamo dire che pone la parola fine ai modelli di collasso della funzione d’onda legati alla gravità?

«Direi di no, quello che escludiamo è la versione più semplice del modello. Credo che una possibile connessione tra collasso della funzione d’onda e gravità sia plausibile, proprio per le motivazioni suggerite da Penrose, e prima di concludere che questa è una strada “morta” andrebbero studiate nel dettaglio altre possibilità. Ho già alcune idee su possibili estensioni ed è mia intenzione e degli altri autori della ricerca lavorare in futuro in questa direzione».


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