IL SAPORE SFUGGENTE DEL QUARTO NEUTRINO

Neutrini sterili? Non pervenuti

Due esperimenti sulle oscillazioni dei neutrini – Daya Bay a Hong Kong e Minos+ nel Minnesota – pongono i limiti più stringenti mai ottenuti fino a oggi sulle caratteristiche di un ipotetico quarto neutrino – il neutrino sterile. Ma la possibilità che una tale particella esista rimane comunque aperta

     14/08/2020

Rappresentazione schematica dell’oscillazione da neutrino muonico (in arancione) a neutrino sterile (in blu). Crediti: IceCube

È uno fra i latitanti più ricercati al mondo. La sua foto segnaletica è appesa in tutti i laboratori di fisica delle particelle e in tutti gli studi di astrofisica teorica del pianeta. Segni caratteristici: particella elementare con spin destrorso di valore 1/2, dunque un fermione, senza carica elettrica, di massa sconosciuta. E a differenza dei suoi fratelli – i neutrini elettronico, muonico e tauonico – interagisce solo con la gravità. Un tratto, quest’ultimo, che lo rende pesantemente indiziato d’essere uno dei volti che si nascondono dietro quel mefisto nero che chiamiamo materia oscura – dunque uno dei responsabili di quell’80 per cento abbondante di massa dell’universo che continua a mancare all’appello. Il suo nome è neutrino sterile. La notizia è che è di nuovo sfuggito alla cattura.

Il resoconto della fallita – ma tutt’altro che infruttuosa – retata è descritto sulle pagine di Physical Review Letters. Vediamo com’è andata. Per incastrarlo si sono mobilitati, rispettivamente a Hong Kong e nel Minnesota, i fisici delle collaborazioni Daya Bay e Minos+. La tecnica utilizzata è assai complessa da approntare, ma concettualmente abbastanza semplice. Fa leva sul modus operandi caratteristico dei neutrini: quando sono in fuga oscillano da un’identità all’altra, trasformandosi da muonici a tauonici, o a elettronici, o ancora – questa l’ipotesi degli scienziati – a sterili. È un fenomeno quantistico, dovuto al fatto che il sapore d’ogni neutrino è in realtà ciò che i fisici definiscono una sovrapposizione lineare di tre stati con tre masse. Ed è un fenomeno che non avviene in qualunque momento della “fuga” con la stessa probabilità, ma piuttosto a distanze ben definite, dipendenti dall’energia dei tre stati e dalla differenza tra le masse.

Uno dei rivelatori per antineutrini dell’esperimento Day Bay. Crediti: Roy Kaltschmidt, Lawrence Berkeley National Laboratory/Wikimedia Commons

Sfruttando questo “punto debole”, gli scienziati delle due collaborazioni speravano dunque – piazzando al punto giusto una serie di “trappole” lungo il percorso di fuga – d’incastrare il neutrino nell’atto di assumere il sapore sterile. Nel caso di Daya Bay, a mettere in fuga i neutrini erano sei reattori nucleari, e le trappole otto rivelatori posti attorno a essi. Nel caso di Minos+, invece, a sparare il fascio di neutrini era l’acceleratore di particelle del Fermilab, in Illinois, mentre la trappola, posta a circa 735 km di distanza, era un rivelatore nella miniera di Soudan, in Minnesota.

Tutto rigorosamente al passato, perché i dati sono stati acquisiti tempo addietro. Ma è solo durante il lockdown imposto dalla recente epidemia di coronavirus che gli scienziati delle due collaborazioni hanno avuto l’opportunità di analizzare a fondo i dati raccolti.

Risultato? «A quanto pare non ce n’è traccia», dice Adam Aurisano della University of Cincinnati. «Saremmo stati tutti assolutamente entusiasti di trovare prove della loro esistenza, ma i dati che abbiamo raccolto finora non supportano alcun tipo di oscillazione dei neutrini sterili», aggiunge Pedro Ochoa-Ricoux della University of California, Irvine.

L’esperimento Minos+ del Fermilab utilizza due rilevatori di neutrini a 735 km di distanza, in Illinois e nel Minnesota. Crediti: Fermilab

Esperimento – anzi: esperimenti al plurale, visto che erano due e indipendenti – fallito, dunque? La cosa è più complicata, per due motivi. Il primo ha a che fare con il modo in cui funziona la scienza, dove un risultato negativo assai affidabile ha molto più valore d’un risultato positivo di scarsa attendibilità. «È un risultato importante per la fisica delle particelle», sottolinea infatti un altro membro della collaborazione, Alexandre Sousa, anch’egli della University of Cincinnati. «Fornisce una risposta quasi definitiva a una domanda che dura da oltre 20 anni».

Il secondo motivo ha invece a che fare con quella parolina quasi prudentemente usata da Sousa. Ciò che i due esperimenti possono ragionevolmente escludere, infatti, è che esista un neutrino sterile di massa ridotta – quello più comunemente teorizzato. Ma ciò non nega la possibilità che il neutrino sterile esista: forse, semplicemente, la foto segnaletica va aggiornata. «Ritengo che a energie più elevate la probabilità che i neutrini sterili esistano sia maggiore di quella che non esistano», conclude Aurisano. «Ci attendiamo che negli istanti iniziali dell’universo i neutrini sterili ci fossero. Senza di loro sarebbe difficile spiegare alcuni aspetti della massa dei neutrini».

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