LA PROPARGIL-IMMINA, DAL LABORATORIO ALLO SPAZIO

Scoperta molecola organica nel mezzo interstellare

Un gruppo internazionale di fisici e chimici, tra cui Víctor Manuel Rivilla dell’Inaf, ha scoperto la presenza nello spazio interstellare della propargil-immina, una specie chimica coinvolta nella formazione di amminoacidi (tra i mattoni fondamentali della biologia terrestre). La scoperta è stata realizzata grazie a degli esperimenti di laboratorio, condotti presso l'Istituto per la Fisica extraterrestre Max-Planck, e a diverse osservazioni astronomiche con il radiotelescopio di 30 metri della Sierra Nevada, in Spagna, guidate dall’Inaf. Lo studio verrà pubblicato sulla rivista Astronomy & Astrophysics

     17/06/2020

L’immagine di fondo della zona del centro della nostra galassia è stata presa col telescopio spaziale della Nasa Spitzer, in particolare con la camera IRAC4 (Infrared Array Camera) osservando a 8 microns. La stella gialla indica la posizione del centro galattico e la stella celeste corrisponde alla posizione della sorgente che è stata studiata, la nube molecolare G+0.693-0.027. In questa regione è stata rilevata per prima volta la molecola propargil-immina (HCCCHNH), in basso a destra, dopo averla studiata per prima volta al laboratorio di spettroscopia CASAC all’Istituto per la Fisica extraterrestre del Max Planck di Monaco.
Crediti: Nasa Spitzer Space Telescope, camera IRAC4 (8 microns), MPE.- CASAC experiment, Víctor M. Rivilla (INAF-Firenze).

Grazie alla stretta collaborazione tra esperimenti di laboratorio, condotti presso il Cas (Centre for Astrochemical Studies) dell’Istituto per la Fisica extraterrestre Max-Planck a Monaco, e a diverse osservazioni astronomiche, guidate dall’Istituto Nazionale di Astrofisica, è stata identificata una nuova molecola nella nube interstellare G+0.693-0.027 situata nei pressi del centro della Via Lattea. Si tratta della la propargil-immina, la cui formula è HCCCHNH. Secondo gli esperti, che hanno descritto la scoperta in un articolo accettato per la pubblicazione sulla rivista Astronomy & Astrophysics, questa specie chimica può giocare un ruolo rilevante nella formazione di amminoacidi, tra gli ingredienti chiave per la vita come la conosciamo.

«Quando una molecola gira o vibra nel mezzo interstellare emette fotoni a delle frequenze molto precise, e questo, confrontando i dati che ricaviamo con i grandi radiotelescopi, ci permette di sapere se una molecola è presente o meno nel mezzo interstellare, e in particolare nelle nubi molecolari che in futuro formeranno nuove stelle e sistemi planetari», spiega Víctor M. Rivilla, ricercatore dell’Inaf di Firenze con un contratto Marie Skłodowska-Curie nell’ambito del programma AstroFIt2. Rivilla ha guidato per l’Inaf le osservazioni astronomiche che hanno confermato la presenza della molecola all’interno della nube G+0.693-0.027.

Ogni molecola emette radiazione a specifiche lunghezze d’onda: una caratteristica che le identifica in modo univoco, proprio come le impronte digitali nell’uomo. Con lo scopo di scoprire se nello spazio fosse presente anche la propargil-immina, nei laboratori del Max Planck è stato accuratamente ricostruito il suo “identikit” grazie alla tecnica della spettroscopia. Poi, i dati raccolti sono stati confrontati con quelli ottenuti dal radiotelescopio di 30 metri della Sierra Nevada, in Spagna. Rivilla aggiunge: «Questa molecola era già lì, nei dati che avevamo ottenuto della nube molecolare G+0.693-0.027, ma non potevamo sapere che fosse davvero lei perché ci mancava la sua spettroscopia, cioè informazioni precise sulle frequenze a cui emette fotoni. Appena l’abbiamo identificata, grazie alle misure di laboratorio, ci siamo resi conto che, in effetti, la propargil-immina era chiaramente lì: stava solo aspettando che qualcuno la riconoscesse».

La propargil-immina è un composto instabile, impossibile da isolare nelle condizioni ordinarie dell’atmosfera terrestre, ma prospera invece alle basse densità e temperature tipiche del mezzo interstellare. Luca Bizzocchi, primo autore dello studio e ricercatore dell’Istituto Max-Planck che ha studiato la spettroscopia di questa molecola, sottolinea: «La peculiarità di questa specie chimica è proprio il legame imminico CH=NH, le cui caratteristiche di reattività lo rendono un importante elemento della catena chimica che porta dalle molecole più semplici e abbondanti nello spazio come formaldeide (H2CO) e ammoniaca (NH3), verso specie complesse come gli amminoacidi che sono i mattoni fondamentali della biologia terrestre».

Le immine sono coinvolte, infatti, nella sintesi di Strecker, un processo chimico usato proprio per sintetizzare gli amminoacidi in laboratorio. Queste reazioni si pensa avvengano, in certe condizioni favorevoli, anche in alcuni ambienti extraterrestri, come i mantelli ghiacciati delle polveri interstellari o le superfici degli asteroidi, come  dimostra la recente scoperta della glicina, l’amminoacido più semplice, nella coda della cometa 67P Churyumov-Gerasimenko.

«Questa collaborazione tra laboratorio e osservazioni è fondamentale per scoprire nello spazio nuove molecole che, nelle condizioni favorevoli in cui si è formata la nostra Terra, sono state sicuramente importanti per innescare la chimica necessaria che poi ha portato alla vita che conosciamo oggi», conclude Rivilla.

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