IL SOLE È MENO ATTIVO DEGLI ALTRI ASTRI A ESSO SIMILI

Nati sotto una quieta stella

Analizzando i dati raccolti dal telescopio spaziale Kepler fra il 2009 e il 2013, e integrandoli con le misure astrometriche di Gaia, un team di ricercatori del Max Planck, in Germania, ha selezionato un esteso campione di stelle del tutto analoghe al Sole per confrontare l’attività di quest’ultimo con quella delle sue simili. Ne è emerso che la nostra è una stella sorprendentemente calma. I risultati sono pubblicati su Science

     01/05/2020

Variazioni di luminosità del Sole (in alto) e della stella Kic 7849521 (in basso) a confronto. Crediti: Mps / hormesdesign.de

Il Sole è di nuovo sotto i riflettori. L’attenzione, negli ultimi tempi, è focalizzata sul suo atteggiamento low-profile – in particolare sull’assenza di macchie, sintomo dell’inesorabile scivolamento verso il minimo del ciclo dell’attività solare che, cominciato circa quattro anni fa, segnerebbe la transizione dal 24esimo al 25esimo ciclo. Timidezza o pigrizia solo passeggere, dunque? E se invece scoprissimo che il Sole è sottotono da almeno novemila anni?

Sembra proprio che sia così. Uno studio guidato dal Max Planck Institute for solar system research (Mps) di Göttingen, pubblicato oggi su Science, ha confrontato il Sole con un campione di quasi quattrocento stelle a esso analoghe, trovando un’unica e sostanziale differenza in termini di attività: il Sole si piazza come fanalino di coda quanto a variazioni di luminosità.

Vi è corrispondenza diretta fra variazioni del campo magnetico interno di stelle come il Sole e la variazione della loro luminosità superficiale. Fenomeni come la comparsa di macchie solari o facole fotosferiche, visibili rispettivamente come diminuzione e aumento della luminosità locale, sono infatti legate a instabilità magnetiche che causano la concentrazione e l’emergere di linee magnetiche in superficie.

Sebbene misure precise della luminosità solare siano state possibili solo con l’avvento di missioni spaziali dedicate, dunque dagli anni Settanta, il conteggio delle macchie solari è costante esercizio astronomico sin dal 1610, quando i primi telescopi furono puntati al cielo. Inoltre, le variazioni di luminosità solare influenzano il clima terrestre su tempi scala minimi di decenni e la chimica atmosferica persino su scala giornaliera e mensile, lasciando traccia negli isotopi cosmogenici del carbonio e del berillio che troviamo, ad esempio, negli anelli degli alberi e nei campioni di ghiaccio stratificato. Studi di questo genere consentono di fare una ricostruzione storica dell’attività del Sole fino a novemila anni fa, e hanno mostrato agli scienziati che esso si è mantenuto pressoché costante da allora.

«Comunque, se confrontati con il tempo di vita del Sole, novemila mila anni sono un battito di ciglia», osserva Timo Reinhold, scienziato al Mps e primo autore del nuovo studio. Dopotutto, la nostra stella ha circa 4.6 miliardi di anni. «È concepibile che il Sole abbia attraversato una fase quieta per migliaia di anni e che, pertanto, la visione che abbiamo sia distorta».

Non potendo recuperare informazioni dirette sul Sole primordiale, l’unica via è quella di confrontarlo con altre stelle a esso simili, e vedere quanto le sue caratteristiche si uniformino al “gregge”. I ricercatori hanno quindi cercato stelle che somigliassero al Sole in alcune proprietà fondamentali, come temperatura superficiale, età, metallicità – cioè il contenuto di elementi più pesanti di idrogeno ed elio – e periodo di rotazione. «La velocità di rotazione di una stella attorno al proprio asse è un parametro cruciale», sottolinea il direttore del Mps e coautore dello studio Sami Solanki, spiegando che la rotazione stessa contribuisce alla creazione del campo magnetico per effetto dinamo con l’interno. «Il campo magnetico è la causa prima di ogni fluttuazione nell’attività stellare».

Variazioni del campo magnetico determinano la frequenza con la quale il Sole emette radiazione energetica, così come il verificarsi di violente esplosioni che scagliano particelle ad altissima velocità nello spazio interstellare, la genesi di macchie solari e regioni brillanti sulla superficie e, infine, persino la luminosità con la quale lo vediamo risplendere.

La miniera di informazioni alla quale hanno attinto gli scienziati per costruire questo campione di soli è il telescopio spaziale Kepler della Nasa, che dal 2009 al 2013 ha osservato e classificato circa 150mila stelle di sequenza principale – stelle, cioè, che producono energia grazie alla fusione dell’idrogeno nel nucleo. Hanno passato la selezione le stelle con le seguenti caratteristiche: temperatura superficiale fra 5500 e 6000 gradi kelvin (quella del sole è 5780 K), gravità superficiale simile o superiore a quella del Sole (in modo da evitare stelle troppo evolute e inattive che avrebbero “annacquato” i risultati), età fra i quattro e i cinque miliardi di anni, metallicità prossima a quella solare e, infine, un periodo di rotazione fra venti e trenta giorni – il Sole impiega 24.47 giorni a compiere una rotazione completa attorno al suo asse.

Purtroppo però, fra la moltitudine di stelle a disposizione soddisfacenti i criteri descritti, non per tutte è stato possibile misurare un periodo di rotazione dai dati Kepler. Gli autori dello studio hanno deciso di far loro superare la selezione “con riserva”, chiamandole “pseudosolari non-periodiche” e distinguendole dal campione puro e periodico.

Ma perché tenere queste stelle se, come gli stessi autori hanno dichiarato, il periodo di rotazione è un parametro così profondamente legato al campo magnetico e alla variabilità fotometrica – quest’ultima obiettivo dello studio? La ragione è presto spiegata. Il Sole stesso, se fosse osservato con la sonda Kepler, apparirebbe “non-periodico”. Determinare il periodo di rotazione delle stelle utilizzando solamente osservazioni fotometriche, cercando cioè fluttuazioni periodiche nella loro luminosità, è parecchio insidioso. Calcolando la variabilità nella luminosità di stelle periodiche e non-periodiche insieme, inoltre, si è visto che le due popolazioni creano una distribuzione continua nel valore del parametro di variabilità, e non sembrano separarsi nettamente nelle loro proprietà.

Alla fine, il campione risultante comprende 369 quasi-soli periodici e 2529 pseudo-soli non periodici, con parametro di variabilità da zero fino a 0.7 per cento rispetto all’irraggiamento totale. In questo ampio spettro di valori, i quasi-soli periodici sono accumunati da valori di variabilità maggiori.

Dove si piazza dunque il Sole in questo ranking? Timidamente, negli ultimi 140 anni, il Sole è in media cinque volte meno variabile delle stelle con lo stesso periodo di rotazione, e stenta a raggiungere la metà della variabilità di queste anche al picco di attività.

«Siamo rimasti davvero sorpresi nel vedere che la maggior parte delle stelle simili al Sole sono così tanto più attive», dichiara Alexander Shapiro, direttore del gruppo di ricerca del Mps.

Superato lo sconcerto, gli scienziati hanno proposto due possibili interpretazioni.

La prima: potrebbero esserci alcune differenze fisiche, ancora ignote, fra le stelle con periodo di rotazione noto e quelle non-periodiche (come apparirebbe il Sole, se sottoposto alle stesse condizioni osservative). Se la dinamo solare stesse attraversando una fase di transizione verso un’epoca di ridotta attività a causa di una variazione nella sua rotazione interna, come propongono alcuni studi, si spiegherebbe come mai esso somigli molto di più alle stelle non periodiche. In questo scenario, le stelle periodiche si troverebbero invece in una fase di elevata attività.

La seconda: «È concepibile che stelle con periodi di rotazione noti simili al Sole ci indichino tutti i possibili valori di attività dei quali il Sole è capace», dice Shapiro. Questo significa che la nostra stella è stata particolarmente debole negli ultimi 9000 anni e che, su tempi scala più lunghi, essa potrebbe avere fluttuazioni di luminosità molto maggiori.

Il problema, per gli scienziati, rimane aperto. La cosa non deve però preoccuparci, poiché a oggi non sembrano esserci indicazioni di “iperattività” da parte del Sole. Tutt’altro. Negli ultimi decenni il Sole si è mostrato addirittura meno attivo del suo già di per sé basso standard, e le previsioni per i prossimi undici anni non sembrano indicare variazioni di tendenza.

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