INTERFEROMETRIA PER STUDIARE L’ORIGINE DEI PIANETI ROCCIOSI

Ritratto di famiglia per 15 dischi protoplanetari

Quello riportato sulla rivista Astronomy & Astrophysics è il primo rilevamento “fotografico“ ad alta risoluzione delle zone interne di 15 dischi protoplanetari attraverso la tecnica dell'interferometria nel vicino infrarosso. Dalle immagini dei dischi, ottenuti con lo strumento Pionier del Vlt, si può capire che è in corso un processo di formazione planetaria

     30/04/2020

In posa a centinaia di anni luce di distanza da noi. Eccoli i 15 dischi protoplanetari fotografati da un gruppo di astronomi con il Very Large Telescope Interferometer (Vlti) all’osservatorio dell’Eso in Cile. I risultati delle osservazioni sono stati pubblicati sull’ultimo numero della rivista Astronomy & Astrophysics. Per comprendere meglio come nascono i pianeti rocciosi, gli esperti hanno studiato i bordi interni dei dischi di polvere e gas attorno a giovani stelle. Si tratta di regioni caotiche e disordinate, ma fondamentali nell’universo: numerose ricerche hanno mostrato che tanti esopianeti ravvicinati si trovano all’interno della prima unità astronomica (Ua, la distanza tra il Sole e la Terra) attorno alla loro stella madre.

I 15 dischi protoplanetari fotografati dal Very Large Telescope Interferometer dell’Eso. Crediti: Jacques Kluska et al.

Non è certo la prima volta che un disco protoplanetario viene fotografato: era già successo in passato con grandi telescopi a specchio singolo, che però non riescono a ottenere immagini dettagliate. Di solito, infatti, in queste fotografie l’immagine relativa alla regione più vicina alla stella – là dove si formano i pianeti rocciosi come la Terra – è formata da pochi pixel soltanto, dunque a bassissima definizione.

Il team guidato da Jacques Kluska, della Katholieke Universiteit Leuven (Belgio), si è allora rivolto a una tecnica particolare, cioè l’interferometria infrarossa. E lo ha fatto usando lo strumento per il vicino infrarosso Pionier, che è in grado di connettere interferometricamente i quattro telescopi del Vlt all’Osservatorio del Paranal. Dopo aver combinato la luce raccolta con i telescopi cileni, gli astrofisici hanno risolto i dettagli dei dischi con una tecnica di ricostruzione matematica – chiamata Sparcogià utilizzata dallo stesso Kluska qualche anno fa – che prevede la rimozione della stella centrale dall’immagine e l’impiego dell’interferometria per rivelare in dettaglio ciò che la circonda. E per capire a quale livello di dettaglio si spongono queste immagini, pensate a un capello visto nitidamente a 10 chilometri di distanza, o un uomo sulla superficie della Luna dalla Terra. «Avevamo bisogno di visualizzare questi dettagli», dice Kluska, «per essere in grado di identificare modelli in grado di svelare la formazione del pianeta e caratterizzare le proprietà dei dischi».

Quello riportato dal team di Kluska è il primo rilevamento “fotografico” delle zone interne dei dischi protoplanetari attraverso la tecnica dell’interferometria nel vicino infrarosso. Dalle immagini dei dischi, selezionati da una survey di stelle Herbig AeBe, si può capire che è in corso un processo di formazione planetaria, analizzando le zone di instabilità in cui il disco accumula granelli di polvere che possono crescere fino a diventare un pianeta.

Kluska è a capo di un altro gruppo di ricerca che attualmente sta studiando 11 dischi che circondano stelle più vetuste, ma che con molta probabilità stanno anch’esse formando esopianeti.

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