COM’È POSSIBILE? LO SPIEGA UNO STUDIO OGGI SU SCIENCE

Bennu scatenato: così scaglia pietre nello spazio

È un asteroide attivo che, sporadicamente, emette pietre nello spazio. I meccanismi più probabili per spiegare il fenomeno – osservato per la prima volta dalla sonda Osiris-Rex della Nasa – sono la frammentazione superficiale per stress termico, la disidratazione dei fillosilicati e l'impatto con piccoli meteoroidi. Da escludere, invece, la disintegrazione rotazionale e la sublimazione di ghiacci superficiali

     05/12/2019

Questa immagine, ripresa il 19 gennaio 2019, mostra un dettaglio dell’asteroide Bennu circondato da una serie di puntini luminosi: sono pietre espulse nello spazio. Crediti: Nasa / Goddard / University of Arizona / Lockheed Martin

Il 3 dicembre 2018 la missione della Nasa Osiris-Rex (Origins, Spectral Interpretation, Resource Identification, Security, Regolith Explorer) è entrata in orbita attorno a (101955) Bennu. Si tratta di un asteroide primitivo, ossia carbonaceo, di tipo near-Earth, con un diametro medio di circa 490 metri e un periodo di rotazione di sole 4,29 ore. Gli asteroidi carbonacei sono importanti perché ritenuti le sorgenti delle meteoriti del tipo condrite carbonacea, molto ricche di materiale organico – come gli amminoacidi – indispensabili per lo sviluppo della vita. Ecco quindi l’importanza di mandare una sonda per analizzare nei dettagli un asteroide come Bennu e portarne sulla Terra un pezzettino inalterato: si può studiare un campione, il più possibile originale, del materiale che popolava il Sistema solare circa 5 miliardi di anni fa, durante la genesi dei pianeti.

Dalle immagini inviate a terra, Bennu appare come un aggregato di polveri, massi e rocce, ossia non è un corpo monolitico, si tratta di un asteroide con una struttura a blocchi indipendenti, debolmente legati dalla coesione della polvere e dalla reciproca forza di gravità: un rubble-pile. In effetti la densità media dell’asteroide è solo del 20 per cento superiore a quella dell’acqua, quindi la percentuale di “vuoto” all’interno del corpo deve essere dell’ordine del 40-50 per cento. Nel suo passato, Bennu deve avere subito almeno una collisione catastrofica il cui risultato finale è stato − appunto − il rubble-pile di oggi, ottenuto per aggregazione gravitazionale dei frammenti più lenti, che non si sono dispersi nello spazio dopo la frammentazione.

Bennu ha già fatto parlare di sé fra i planetologi per due motivi. Primo, la scoperta dell’acqua nelle rocce di superficie (fillosilicati idrati), avvenuta durante la fase di avvicinamento della sonda, tra metà agosto e inizio dicembre 2018. Secondo motivo, l’emissione di pietre nello spazio, fenomeno osservato per la prima volta il 6 gennaio 2019, che ha fatto entrare Bennu nella categoria degli asteroidi attivi.

Perché Bennu – pur non essendo una cometa – lancia pietre nello spazio? Cercano di rispondere a questa non facile domanda Dante Lauretta e il suo team, con la pubblicazione di un articolo su Science dal titolo accattivante: “Episodes of particle ejection from the surface of the active asteroid (101955) Bennu”. Lauretta è professore di scienze planetarie e cosmochimica all’Università dell’Arizona (Tucson) e principal investigator della missione. Il team di ricercatori, analizzando i dati trasmessi da Osiris-Rex, ha stabilito che l’evento d’emissione del 6 gennaio era solo la punta dell’iceberg di una fenomenologia complessa. In realtà ci sono stati altri due eventi d’intensità paragonabile a quello del 6 gennaio, che detiene il record di 200 pietre osservate: il 19 gennaio (con 93 pietre) e l’11 febbraio 2019 (con 72 pietre), più tutta una serie di espulsioni minori.

Eventi di rilevazione di particelle emesse dall’asteroide Bennu. In viola gli eventi maggiori di cui si discute nel testo. La linea a pallini in alto indica la distanza di Bennu dal Sole (Credits: Lauretta et al., Science 366, 2019)

Insomma, orbitare vicino alla superficie di Bennu può essere pericoloso, anche perché le pietre espulse nello spazio hanno dimensioni fino a circa 10 cm di diametro e velocità – rispetto a Bennu – fino ad alcuni metri al secondo. Gli scienziati, alla ricerca della causa dell’emissione, hanno anche individuato le zone da cui sono state espulse le pietre dei tre eventi maggiori, tuttavia queste località non si distinguono dal resto della superficie dell’asteroide per qualche caratteristica particolare: contengono pietre di tutte le dimensioni, così come depressioni circolari che potrebbero essere vestigia di antichi crateri da impatto come ce ne sono un po’ ovunque su Bennu.

Quindi siamo a un punto morto? In realtà ci possono essere diversi meccanismi fisici in grado di espellere pietre dalla superficie di un asteroide, e gli autori dell’articolo li hanno passati pazientemente in rassegna. Il più noto è la cosiddetta disgregazione rotazionale, che avviene quando un rubble-pile ruota troppo velocemente attorno al proprio asse e supera la propria spin-barrier (il cui valore dipende solo dalla densità media dell’asteroide). La rotazione dell’asteroide può essere accelerata dalla radiazione solare, a causa dell’effetto Yorp. In questi casi i frammenti vengono espulsi all’equatore dell’asteroide, dove la velocità lineare è maggiore, su orbite che – tendenzialmente – giacciono sul piano equatoriale, con verso di percorrenza concorde con la rotazione. Non è il caso di Bennu: la sua spin-barrier è di 3 ore, ben al di sotto del periodo di rotazione attuale inoltre le pietre sono scagliate un po’ in tutte le direzioni.

Orbite di alcune particelle emessa dalla superficie di Bennu (Crediti: Lauretta et al., Science 366, 2019)

Altro meccanismo in grado di sollevare materiale nello spazio è la sublimazione di piccole quantità di ghiaccio presenti in superficie: si ha un’emissione di vapore in grado di trascinare con sé le particelle più leggere. Sostanzialmente è lo stesso fenomeno fisico responsabile dell’attività dei nuclei cometari. Nel caso di Bennu, la sublimazione dei ghiacci d’acqua, anidride carbonica e ossido di carbonio è fisicamente possibile, ma non è stato rilevato ghiaccio in superficie (anche se c’è acqua all’interno delle rocce), così come non sono presenti fessure crostali che potrebbero permettere la sublimazione di eventuali depositi di ghiaccio invisibili, ma presenti sotto la crosta.

Al contrario, l’impatto di piccoli meteoroidi potrebbe portare all’emissione di rocce nello spazio. Ci si aspetta che il flusso di meteoroidi su Bennu sia paragonabile a quello della Terra (tolti gli effetti del focusing gravitazionale terrestre) e – facendo qualche stima – si trova che il flusso di meteoroidi nello spazio interplanetario sarebbe più che sufficiente per giustificare l’emissione di rocce osservata.

Altro meccanismo fisico possibile, è la fratturazione termica delle rocce. In effetti, gli eventi maggiori osservati sono avvenuti tutti durante il pomeriggio locale della zona di emissione. Lo stress termico a cui sono sottoposte le rocce durante una rotazione dell’asteroide è notevole: l’escursione termica è dell’ordine di 150 °C per una zona posta alle medie latitudini. Questi ripetuti stress termici a cui le rocce sono sottoposte possono portare alla frammentazione improvvisa e – considerato il regime di microgravità di Bennu – all’espulsione nello spazio. Questo spiegherebbe come mai l’evento  maggiore – quello del 6 gennaio – sia avvenuto in coincidenza del passaggio al perielio (punto dell’orbita più vicino al Sole), perché l’espulsione avvenga un po’ in tutte le direzioni e perché i successivi eventi maggiori siano di minore intensità rispetto al primo: l’asteroide si stava allontanando dal Sole. Inoltre, la ricaduta delle pietre emesse nello spazio dagli eventi maggiori può dare luogo alle espulsioni secondarie. Anche il riscaldamento delle rocce ricche di acqua – ossia la disidratazione dei fillosilicati – potrebbe portare all’evaporazione e all’espulsione di gas attraverso le fratture o i buchi della pietra, generando un “effetto razzo” in grado di lanciare nello spazio l’oggetto.

Al momento quindi, sono tre le possibili cause fisiche che possono giustificare l’attività di Bennu: lo stress termico, la disidratazione dei fillosilicati e la caduta di piccoli meteoroidi. La disgregazione rotazionale non riproduce quanto osservato, mentre la sublimazione di elementi volatili non è giustificabile perché su Bennu non è stato rilevato ghiaccio. Un maggior numero di dati da parte della Osiris-Rex potrà confermare o cambiare il quadro fisico qua delineato, in ogni caso giova osservare come possa essere interessante – e complesso – anche un piccolo asteroide di soli 500 metri di diametro.

Le pietre espulse nello spazio in parte ricadono sulla superficie di Bennu e in parte entrano in orbita eliocentrica, formando una rarefatta corrente di meteoroidi che avviluppa l’orbita dell’asteroide: lo stesso processo avviene per le comete, anche se su scala maggiore. Considerato che la distanza minima fra l’orbita della Terra e quella di Bennu è di soli 500mila km, questi meteoroidi, incontrando l’atmosfera terrestre, potrebbero dare vita ad uno sciame di meteore di debole intensità, visibile attorno al 23 settembre di ogni anno. Il radiante di questo sciame di meteore cadrebbe nell’emisfero australe, nella costellazione dello Scultore, poco visibile dall’emisfero nord. Tuttavia, il numero di meteoroidi della corrente di Bennu è talmente basso che sarebbe difficile distinguere le meteore originate dall’asteroide dal rumore di fondo delle meteore sporadiche. L’unico modo per distinguere le meteore di Bennu da quelle sporadiche sarebbe quello di calcolarne l’orbita: una lavoro in più per le reti all-sky dedicate al monitoraggio di bolidi e meteore, come l’italiana Prisma.

Per saperne di più:

  • Leggi su Science l’articolo “Episodes of particle ejection from the surface of the active asteroid (101955) Bennu“, di D. S. Lauretta, C. W. Hergenrother, S. R. Chesley, J. M. Leonard, J. Y. Pelgrift, C. D. Adam, M. Al Asad, P. G. Antreasian, R.-L. Ballouz, K. J. Becker, C. A. Bennett, B. J. Bos, W. F. Bottke, M. Brozović, H. Campins, H. C. Connolly Jr., M. G. Daly, A. B. Davis10, J. de León, D. N. DellaGiustina, C. Y. Drouet d’Aubigny, J. P. Dworkin, J. P. Emery, D. Farnocchia, D. P. Glavin, D. R. Golish, C. M. Hartzell, R. A. Jacobson, E. R. Jawin, P. Jenniskens, J. N. Kidd Jr., E. J. Lessac-Chenen, J.-Y. Li, G. Libourel, J. Licandro, A. J. Liounis, C. K. Maleszewski, C. Manzoni, B. May, L. K. McCarthy, J. W. McMahon10, P. Michel, J. L. Molaro, M. C. Moreau, D. S. Nelson, W. M. Owen Jr., B. Rizk, H. L. Roper, B. Rozitis, E. M. Sahr, D. J. Scheeres10, J. A. Seabrook, S. H. Selznick, Y. Takahashi, F. Thuillet, P. Tricarico, D. Vokrouhlický e C. W. V. Wolner