SAREBBERO SUFFICIENTI ROCCE INSTABILI E FRAMMENTATE

Frane su Marte, il ghiaccio non serve

Un nuovo studio, condotto dall’Ucl utilizzando le immagini scattate dal Mars Reconnaissance Orbiter della Nasa, ha dimostrato che le creste giganti presenti sulla superficie delle frane marziane potrebbero essersi formate senza l’intervento del ghiaccio. Tra i ricercatori coinvolti, l'italiana Giulia Magnarini e Harrison Schmitt, l'astronauta dell'Apollo 17. Tutti i dettagli su Nature Communications

     28/10/2019

Paesaggio marziano con alcune note che mostrano, per confronto, l’estensione della Grande Londra e alcuni punti di riferimento globali, per la scala. Crediti: Giulia Magnarini/Nasa

Dettagliate immagini tridimensionali di una vasta frana sulla superficie di Marte, che si estende su un’area di oltre 55 chilometri di larghezza, sono state analizzate per capire come si sono formati i solchi in essa evidenti, insolitamente lunghi e larghi, presumibilmente formatisi circa 400 milioni di anni fa. La regione studiata si trova nella Coprates Chasma, una valle molto grande, lunga ben 966 km, situata all’interno della regione della Valles Marineris.

I risultati dello studio, pubblicati su Nature Communications, mostrano che le strutture caratteristiche riscontrate sulle frane di Marte, lungo le pendici di montagne alte diversi chilometri, potrebbero essersi formate a velocità molto alte, fino a 360 chilometri all’ora, a causa degli strati sottostanti formati da rocce instabili e frammentate. Idea, questa, in contrasto con l’ipotesi che siano invece strati sottostanti di ghiaccio alla base delle lunghe creste che si trovano sulle frane, non solo su Marte ma in tutto il Sistema solare.

Giulia Magnarini, prima autrice dello studio pubblicato su Nature Communications. Crediti: Giulia Magnarini

«Gli scienziati hanno studiato le frane sulla Terra, in luogo di quelle presenti su Marte, e in particolare quelle sui ghiacciai», spiega Giulia Magnarini della Ucl Earth Sciences, prima autrice del lavoro, «perché di fatto mostrano creste e solchi di forma simile, deducendo che le frane marziane dipendano anche da un substrato ghiacciato. Tuttavia, abbiamo dimostrato che il ghiaccio non è un prerequisito necessario per tali strutture geologiche evidenti su Marte, che possono formarsi su superfici ruvide e rocciose. Questo studio ci aiuta a comprendere meglio la forma dei paesaggi marziani e ha implicazioni su come si formano le frane su altri corpi planetari, tra cui la Terra e la Luna».

Il team che ha preso parte al lavoro – costituito da ricercatori dell’Ucl, del Natural History Museum di Londra, della Ben Gurion University di Negev (Israele) e dell’University of Wisconsin Madison (Usa) – ha utilizzato le immagini scattate dal Mars Reconnaissance Orbiter della Nasa – in particolare, quelle di Ctx e Hirise – per analizzare alcune delle frane meglio definite, da remoto, del Pianeta rosso.

Per studiare il rapporto tra l’altezza delle creste e la larghezza dei solchi, rispetto allo spessore del deposito di frana, sono state analizzate sezioni trasversali della superficie marziana nel Coprates Chasma. È stato scoperto che le strutture mostrano gli stessi rapporti di quelli comunemente osservati negli esperimenti di fluidodinamica usando sabbia, suggerendo pertanto che uno strato di base rocciosa, instabile e asciutta, riesca ad agire come un analogo strato ghiacciato, nel creare le vaste formazioni riscontrate. Laddove i depositi di frana sono più spessi, le creste arrivano a un’altezza di 60 metri e i solchi sono larghi quanto otto piscine olimpioniche. Le strutture cambiano quando i depositi si diradano verso i bordi della frana. Qui, le creste sono poco profonde a 10 metri di altezza e sono più vicine tra loro.

«La frana marziana che abbiamo studiato», dice Tom Mitchell, professore di geologia dei terremoti e fisica delle rocce alla Ucl Earth Sciences e coautore dell’articolo, «copre un’area più ampia della contea della Grande Londra e le strutture al suo interno sono enormi. Anche la Terra potrebbe ospitare strutture simili, ma sono più difficili da vedere, e le nostre morfologie vengono erose molto più velocemente di quelle su Marte, a causa della pioggia. Anche se non escludiamo la presenza di ghiaccio, sappiamo che il ghiaccio non è stato necessario per formare le lunghe scanalature che abbiamo analizzato. Le vibrazioni delle particelle di roccia posso essere state in grado di avviare un processo di convezione che potrebbe aver causato la caduta di strati di roccia più densi e pesanti e l’aumento di rocce più leggere, in un modo simile a quanto accade nelle nostre case, dove l’aria calda meno densa sale sopra il radiatore. Questo meccanismo ha spinto il flusso di depositi fino a 40 km di distanza dalla fonte montana, ad altissime velocità».

Il geologo-astronauta Harrison Schmitt, pilota del modulo lunare dell’Apollo 17, utilizza una paletta regolabile per recuperare i campioni lunari durante la seconda attività extraveicolare sulla Luna, presso il sito di atterraggio Taurus-Littrow. Crediti: Nasa

Tra i ricercatori coinvolti nello studio è presente anche Harrison Schmitt, l’astronauta dell’Apollo 17 che ha camminato sulla Luna nel dicembre 1972 e ha completato il lavoro geologico sulla superficie lunare. «Questa ricerca sulle frane marziane», osserva Schmitt «è connessa con una migliore comprensione delle frane lunari, come la Light Mantle Avalanche che ho studiato nella valle del Toro-Littrow durante l’esplorazione dell’Apollo 17 e che hanno continuato a esaminare anche successivamente, usando immagini e dati raccolti più di recente dall’orbita lunare. L’avvio e i meccanismi che regolano i flussi sulla Luna possono essere molto diversi da quelli di Marte; tuttavia, i confronti spesso aiutano i geologi a comprendere caratteristiche che sono confrontabili».

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