IN ROTTA DI COLLISIONE, SI FONDERANNO?

Quale futuro per la coppia di enormi buchi neri

Analizzando la distorsione delle pulsar, potremmo avere entro cinque anni la prima rilevazione del sottofondo di onde gravitazionali a bassissima frequenza prodotte dalla fusione di buchi neri supermassicci. In caso contrario, prenderebbe corpo l’ipotesi del problema dell’ultimo parsec. La scoperta di una coppia di buchi neri in interazione ha permesso nuove stime teoriche

     12/07/2019

Una galassia a circa 2.5 miliardi di anni luce di distanza ha un paio di buchi neri supermassicci (nel riquadro) al suo interno. Le posizioni dei buchi neri sono illuminate da gas caldo e stelle luminose che circondano gli oggetti. Crediti: A.D. Goulding et al./Astrophysical Journal Letters 2019

Riguardo alla rilevazione delle onde gravitazionali originate dalla coalescenza di buchi neri supermassicci, abbiamo una buona notizia che – in qualche modo – potrebbe diventare una possibile cattiva notizia.

Un nuovo studio statunitense, recentemente pubblicato su The Astrophysical Journal Letters, annuncia di avere scoperto – grazie al telescopio spaziale Hubble – una coppia di titanici buchi neri, ciascuno con una massa equivalente a 800 milioni di volte quella solare, in rotta di collisione fra loro. L’interesse di questa coppia ciclopica, che dista circa 2.5 miliardi di anni luce, sta proprio nel rappresentare un campione significativo di un fenomeno su cui gli astrofisici hanno molti più dubbi che certezze: la fusione di buchi neri supermassici, appunto.

Un fatto si presume sicuro: nel momento in cui mostri cosmici di questo tipo iniziano la loro “danza di corteggiamento”, spiraleggiando l’uno nel travolgente abbraccio gravitazionale dell’altro, producono increspature dello spazio-tempo che si propagano nello spazio come onde gravitazionali.

Attenzione, non quel debole e fugace “pigolio” originato dalla fusione di una coppia di buchi neri di massa stellare o di stelle di neutroni, come gli interferometri Ligo e Virgo hanno rilevato recentemente. No: l’equivalente di un boato assordante, un milione di volte più intenso di quelli finora rilevati, per di più prolungato per centinaia di milioni di anni. Il problema è che, pur così intenso, questo urlo d’agonia è esalato a frequenze talmente basse da non potere assolutamente essere “sentito” da nessun tipo di strumento terrestre.

Chiara Mingarelli, Flatiron Institute

Meno di un paio di anni fa, un gruppo di ricerca guidato da Chiara Mingarelli, astrofisica italo-canadese al Centro per l’astrofisica computazionale del Flatiron Institute di New York, aveva stimato che si sarebbero potute rilevare entro 10 anni onde gravitazionali di questo tipo studiando come venivano disturbati gli orologi cosmici più precisi, le pulsar, attraverso un metodo chiamato appunto pulsar timing array.

Mingarelli ha partecipato anche al nuovo studio, nel quale la scoperta della coppia di buchi neri proprio all’inizio di una fase di attrazione reciproca è stata utilizzata per calcolare l’ampiezza del sottofondo (background) di onde gravitazionali a bassissima frequenza che ci si può aspettare di rilevare con l’analisi delle pulsar. Il gruppo di ricerca ha stimato in 5 anni il tempo in cui è statisticamente probabile osservare l’effetto di onde gravitazionali prodotte dalla fusione di una coppia di buchi neri supermassicci, nell’universo non troppo distante.

Ottima notizia, potremmo avere la prima detection entro il 2024. Non caso ciò non avvenisse, spiegano gli autori del nuovo studio, ci si troverebbe di fronte a uno scoglio insormontabile, chiamato il problema dell’ultimo parsec.

Cominciamo con il ricordare che il parsec, o “parallasse di un secondo d’arco”, è una misura di lunghezza utilizzata dagli astronomi che corrisponde circa a 3 anni luce e un quarto.

Diciamo poi che gli astrofisici non hanno un’idea precisa di cosa accada ai buchi neri supermassicci che risiedono al centro di ogni galassia quando due galassie si scontrano e si fondono. Alcune teorie prevedono che i buchi neri comincino a orbitarsi attorno l’un l’altro, accorciando progressivamente le distanze, ma entrando in stallo quando arrivano a circa un parsec di distanza. Questo rallentamento dura quasi indefinitamente, uno scenario teorico che concederebbe solo a rarissimi gruppi di tre o più buchi neri supermassicci di causare vere e proprie fusioni.

La coppia di buchi neri individuata dal telescopio spaziale Hubble. Crediti: A.D. Goulding et al./Astrophysical Journal Letters 2019

Il problema è che non è possibile osservare nelle frequenze elettromagnetiche coppie di buchi neri supermassicci in stallo perché troppo ravvicinati per potere essere distinti; per esempio, si consideri che la coppia di buchi neri appena scoperta è separata da 430 parsec di distanza. Inoltre, queste coppie non producono onde gravitazionali forti fino a quando non superano l’ostacolo del parsec finale e si fondono assieme.

Invece, se il problema dell’ultimo parsec non esiste, allora gli astronomi si aspettano che l’universo sia riempito con il clamore delle onde gravitazionali a bassissime frequenze prodotte da coppie di buchi neri supermassicci. «Questo “rumore” è un po’ come un coro caotico di grilli che friniscono nella notte», spiega il primo autore del nuovo studio, Andy Goulding della Princeton University, che ha condotto le osservazioni sulla coppia di buchi neri. «È impossibile identificare un grillo da un altro, ma il volume del rumore consente di stimare quanti grilli ci siano là fuori».

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