GRANDI VECCHIE STELLE CHE ESPLODONO

Origine degli elementi pesanti, nuova teoria

Uno studio su Nature sostiene che la nucleosintesi degli elementi più pesanti del ferro presenti nell’universo si dovrebbe non tanto ai processi legati alla fusione di stelle di neutroni (kilonove) quanto al collasso di stelle massicce (collapsar) che danno origine a particolari esplosioni di supernova. Il commento di Elena Pian e Paolo D’Avanzo dell’Inaf

     18/06/2019

Rappresentazione artistica di un’esplosione di kilonova, con indicati alcuni degli elementi chimici prodotti e il loro numero atomico. Crediti: Eso/L. Calçada/M. Kornmesser

La proprietà meno nobile della pietra filosofale, secondo gli alchimisti, era la trasmutazione del “vile metallo” in oro. Oggi, gli astrofisici vanno alla ricerca di quale fenomeno (o insieme di fenomeni) abbia prodotto tutto l’oro presente nel cosmo, così come l’origine di tutti gli elementi chimici più pesanti del ferro. Quegli elementi, cioè, che non vengono creati dalle normali reazioni termonucleari che fanno brillare una stella, bensì da processi più violenti, come varie tipologie di esplosioni stellari.

Solo un paio di anni fa è stato provato sperimentalmente l’assunto teorico che la fusione di due stelle di neutroni porta alla creazione di diversi elementi più pesanti del ferro, atomi formati attraverso la nucleosintesi da processo r e dispersi nello spazio dall’esplosione detta di kilonova.

Ora un nuovo studio pubblicato su Nature a firma di un terzetto di fisici della Columbia University di New York suggerisce che la maggior parte degli elementi più pesanti del ferro possano venire generati da una tipologia di esplosione stellare finora trascurata, le cosiddette collapsar (collapsing-star). Si tratta di vecchie stelle massicce – tipicamente 30 volte la massa del Sole – in rapida rotazione che arrivano a collassare sotto la loro stessa gravità, dando origine a un buco nero, esplodendo come supernove e sprigionando una quantità enorme di energia.

Secondo le simulazioni effettuate dal gruppo di ricerca al super-computer del centro di ricerca Ames della Nasa, fino all’80 per cento degli elementi pesanti presenti nell’universo potrebbe essere formato dalle collapsar. Pur essendo molto rare, spiegano gli autori, sono molto ricche di elementi più pesanti del ferro; elementi che vengono lanciati a grande velocità nello spazio, raggiungendo regioni anche molto distanti dal punto dell’esplosione. Inoltre, le simulazioni restituiscono quantità e distribuzione di elementi chimici straordinariamente simili a quelle riscontrabili nel Sistema solare.

Rappresentazione artistica di una collapsar. Crediti: Nasa Goddard Space Flight Centre

Il prossimo passo sarà confermare il modello teorico con le osservazioni, come quelle che saranno possibili grazie il telescopio spaziale James Webb della Nasa, il cui lancio è attualmente previsto nel 2021. I suoi strumenti a infrarossi sarebbero infatti in grado di rilevare le radiazioni emesse dagli elementi pesanti provenienti dall’esplosione delle supernove.

«Quella sarebbe una “firma” chiara», spiega Daniel Siegel, primo autore del nuovo studio, aggiungendo che gli astronomi potrebbero rilevare ulteriori prove di collapsar anche misurando la quantità e la distribuzione di elementi pesanti in altre stelle della nostra galassia, la Via Lattea.

«Questa predizione è in linea di principio estremamente importante», commenta a Media Inaf Elena Pian dell’Inaf di Bologna, che guidò lo studio sugli elementi prodotti dalla kilonova, «ma richiede di essere verificata mediante spettroscopia infrarossa sufficientemente sensibile e accurata di un collasso vicino, possibilmente più vicino di qualche centinaio di megaparsec. Queste osservazioni sono rese particolarmente difficili dalla rarità di collapsar vicine, ma racchiudono la chiave per la comprensione della nucleosintesi degli elementi pesanti nell’universo».

«Questa ipotesi è supportata principalmente dalle simulazioni che gli autori hanno effettuato, fornendo delle predizioni abbastanza chiare da un punto di vista osservativo», commenta ulteriormente Paolo D’Avanzo dell’Inaf di Milano. «Il passo successivo è dunque di cercare nelle curve di luce e, soprattutto, negli spettri delle collapsar conferme (o smentite) delle predizioni osservative che vengono fuori dalle simulazioni presentate in questo articolo. Insomma, si vedrà. Il lavoro fatto dagli autori sarà estremamente utile, dato che in questi casi sapere cosa cercare è sempre di grande aiuto».

Per saperne di più:

Guarda l’animazione di una collapsar che dà origine a un buco nero: