I GIOVIANI SAREBBERO RARI PER STELLE DI MASSA SOLARE

Il Sistema solare è speciale?

Una nuova indagine effettuata analizzando la prima metà della survey condotta dal Gemini Planet Imager ha permesso di fotografare direttamente sei pianeti e tre nane brune, nonché di scoprire nuovi dettagli su pianeti simili al nostro Giove che potrebbero influenzare le teorie su come la Terra si è formata ed è diventata abitabile. Lo studio è stato pubblicato su The Astronomical Journal

     18/06/2019

Rappresentazione artistica dell’esopianeta 51 Eridani b visto nel vicino infrarosso, che mostra gli strati caldi nella sua atmosfera incandescente attraverso le nuvole. Crediti: Danielle Futselaar and Franck Marchis, Seti Institute

Negli ultimi quattro anni, il Gemini Planet Imager (Gpi) – uno strumento di nuova generazione posto nel fuoco del Telescopio Gemini Sud – ha osservato 531 stelle alla ricerca di nuovi pianeti extrasolari e ha portato a termine un campionamento durato 4 anni: la Gpi Exoplanet Survey (Gpies).  Il team, guidato dalla Stanford University, ha pubblicato i primi risultati sulla rivista The Astronomical Journal, riguardanti la prima metà dei dati della survey.

L’indagine effettuata ha permesso di fotografare tre nane brune e sei pianeti – tutti già conosciuti eccetto il nuovo 51 Eridani b – e scoprire nuovi dettagli su pianeti simili al nostro Giove; dettagli che potrebbero influenzare le teorie su come la Terra si è formata ed è diventata abitabile.

«Negli ultimi vent’anni, gli astronomi hanno scoperto sistemi solari molto diversi dal nostro», afferma Bruce Macintosh, professore di fisica a Stanford. «La domanda alla quale ci proponiamo di dare una risposta è: ci sono pianeti simili alla Terra là fuori? Un modo per rispondere è capire come si formano gli altri sistemi solari».

Il modo con cui Gpi va a caccia di pianeti è diverso da quelli utilizzati in altre ricerche sugli esopianeti. La maggior parte dei pianeti extrasolari scoperti finora, compresi quelli trovati dalla sonda spaziale Kepler della Nasa, sono stati trovati attraverso metodi indiretti, ad esempio osservando una diminuzione della luminosità della stella quando un pianeta orbitante le passa davanti (metodo del transito), oppure osservando l’oscillazione della stella dovuta alla gravità del pianeta (metodo delle velocità radiali). Questi metodi hanno avuto un notevole successo, ma per lo più sondano le zone centrali dei sistemi planetari. Le regioni al di fuori dell’orbita di Giove, dove nel nostro Sistema solare si trovano i pianeti giganti, sono solitamente fuori dalla loro portata. In questo senso, Gpi sta cercando di rilevare direttamente i pianeti collocati a tale distanza dalla stella ospite, facendo delle foto ai pianeti stessi, accanto alle loro stelle.

Fotografare un pianeta attorno a un’altra stella è una sfida tecnologica molto difficile, riservata a pochi strumenti, tra cui Gpi. I pianeti sono piccoli, deboli e molto vicini alla loro stella ospite. Distinguere un pianeta in orbita dalla sua stella è come riuscire a distinguere una monetina da chilometri di distanza, e anche i pianeti più brillanti risultano comunque decine di migliaia di volte più deboli della stella. Gpi può vedere pianeti un milione di volte più deboli delle stelle attorno alle quali orbitano. Ma la ricerca di pianeti con questa modalità richiede molto tempo.

Immagine del Gemini Planet Imager attualmente situato presso il Gemini South Observatory di Cerro Pachon. Crediti: J. Chilcote.

«Gpi è stato progettato e costruito appositamente per superare questa sfida tecnologica e le immagini della survey sono molto più sensibili di quelle ottenute dalle precedenti generazioni di strumenti di imaging planetario», afferma Macintosh. «L’Osservatorio Gemini ci ha concesso il tempo di fare un’indagine attenta e sistematica. Questa analisi, effettuata sulle prime 300 stelle osservate da Gpies, rappresenta lo studio di imaging diretto per pianeti giganti più vasto e sensibile pubblicato fino ad oggi».

Mentre, come si accennava, la maggior parte delle altre tecniche sondano le parti interne dei sistemi solari, Gpi si concentra in particolare sugli esopianeti grandi, i gioviani, lontani dalla stella attorno alla quale orbitano. Nel nostro Sistema solare, le zone più esterne sono “abitate” dai pianeti giganti. Con Gpi è possibile stabilire se altri sistemi solari hanno pianeti simili al nostro Giove, anche se, nonostante sia uno degli strumenti più sensibili per effettuare questa ricerca, i pianeti che sta riuscendo a vedere sono grandi più del doppio di Giove.

«I pianeti giganti del nostro Sistema solare si trovano a una distanza tra le 5 e le 30 volte la distanza orbitale della Terra, e per la prima volta stiamo sondando una regione simile attorno ad altre stelle», dice Eric Nielsen, ricercatore presso il Kavli Institute for Particle Astrophysics and Cosmology e primo autore dell’articolo. «È entusiasmante poter iniziare a mettere insieme un censimento dei pianeti più grandi di Giove nei sistemi solari esterni di alcune delle stelle a noi vicine».

Nella prima metà della survey, Gpi ha rilevato un numero di esopianeti inferiore rispetto a quello atteso dai ricercatori. Tuttavia, gli esopianeti che i ricercatori hanno individuato hanno contribuito a uno dei loro risultati più importanti: ognuno dei sei pianeti trovati ruota attorno ad una stella grande e luminosa, nonostante il fatto che i pianeti siano più facili da vedere vicino a stelle deboli. Ciò dimostra in modo definitivo che i pianeti giganti in orbita larga sono più comuni attorno a stelle di massa elevata, almeno 1.5 volte più massicce del Sole. Nel contempo, per le stelle simili al Sole, i cugini più grandi di Giove sono molto più rari dei piccoli pianeti scoperti vicino alla loro stella da missioni come Kepler, della Nasa.

Il Gemini Planet Imager opera al telescopio Gemini sud, sul Cerro Pachón, nelle Ande cilene. Crediti: Marshall Perrin

«Da quello che abbiamo visto finora, e da altre survey, il nostro Sistema solare non assomiglia ad altri sistemi solari», spiega Macintosh. «Non abbiamo tanti pianeti stipati così vicini al Sole come accade in altri sistemi solari, e ora abbiamo un’indicazione preliminare che un’altra peculiarità del nostro Sistema solare potrebbe essere il fatto di avere pianeti come Giove». Infatti, sebbene esopianeti simili a Giove siano appena oltre la portata dei loro strumenti, non trovando nemmeno un accenno a un qualcosa di simile a Giove intorno alle 300 stelle studiate, lascia aperta la possibilità che il nostro Giove sia veramente speciale.

Un altro risultato presentato nell’articolo è che le nane brune – oggetti più grandi dei pianeti ma più piccole delle stelle – sono una popolazione ben distinta dai pianeti. Ciò potrebbe indicare un diverso meccanismo di formazione per questa classe di oggetti, suggerendo che le nane brune siano più simili a stelle mancate che a pianeti super-dimensionati.

Infine, l’articolo individua una distanza dalla stella in corrispondenza alla quale il numero di pianeti giganti passa dall’aumentare al diminuire, pari a circa 5-10 unità astronomiche. «La regione nel mezzo potrebbe essere quella in cui è più probabile trovare pianeti più grandi di Giove, orbitanti attorno ad altre stelle», aggiunge Nielsen, «il che è molto interessante dato che corrisponde alla distanza alla quale vediamo Giove e Saturno nel nostro Sistema solare».

Tutte e tre le scoperte supportano l’ipotesi bottom-up di formazione dei pianeti giganti, accumulando particelle attorno ad un nucleo solido, mentre le nane brune probabilmente si formano con un modello top-down, come risultato di enormi instabilità gravitazionali nel disco di gas e polvere da cui si sviluppa un sistema solare.

Vista del Gemini Planet Imager. Crediti: J. Chilcote.

Gpies ha osservato la sua 531esima e ultima stella nel gennaio 2019. Il team del Gpi ora sta lavorando per rendere lo strumento più sensibile agli esopianeti più piccoli e più freddi, che orbitano più vicino ai loro soli. Nel frattempo, le indagini in grado di osservare indirettamente quegli esopianeti stanno spostando la loro sensibilità verso l’esterno dei sistemi solari. In un futuro non troppo lontano, le due tecnologie dovrebbero riunirsi, esplorando angoli dello spazio in cui un sistema stellare come il nostro potrebbe ancora nascondersi. Qualunque strumento sarà in grado di vedere per primo un mondo simile alla Terra, Macintosh immagina che sarà, almeno in parte, un discendente del Gemini Planet Imager.

«In questo momento, vediamo questi pianeti come macchie rosse sfuocate; un giorno saranno macchie blu sfuocate e una di quelle piccole macchie blu sfuocate sarà una Terra», conclude Macintosh. «Raggiungere queste terre richiederà una missione spaziale che è probabilmente a circa 20 anni di distanza. Ma quando volerà, utilizzerà uno spettrografo come quello che abbiamo costruito, specchi deformabili come quelli che stiamo usando e avrà un software con le linee di codice che abbiamo scritto».

A breve, i membri del team Gpies pubblicheranno ulteriori risultati sulla survey, comprese le informazioni che hanno raccolto sulle atmosfere degli esopianeti che hanno visto, e finiranno di analizzare i dati ottenuti durante la seconda metà della survey.

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