SVILUPPATO AL LAWRENCE BERKELEY NATIONAL LAB

Nuovo filtro per mappare l’universo oscuro

Un nuovo metodo per “ripulire” le lenti gravitazionali sul fondo cosmico «non solo ci aiuterà a studiare la materia oscura, ma anche alcuni tra gli altri grandi misteri cosmologici, come l’origine dell'energia oscura o la massa dei neutrini», dice Simone Ferraro, uno dei due autori, intervistato da Media Inaf

     13/05/2019

Come il piedistallo di un calice distorce l’immagine del fondo cosmico in microonde su cui è appoggiato, oggetti di grandi dimensioni come ammassi di galassie e galassie possono distorcere in modo simile questa luce con il cosiddetto effetto di lente gravitazionale. Crediti: Emmanuel Schaan e Simone Ferraro/Berkeley Lab

La luce più antica conosciuta nel nostro universo, la cosiddetta radiazione cosmica di fondo in microonde (Cmb), è stata emessa circa 380mila anni dopo il Big Bang. La mappa di questi fotoni primordiali – come quella ottenuta, per esempio, dal satellite Esa Planck – è la foto dell’universo neonato, e permette di stimare la quantità di materia ed energia oscure presenti nel cosmo.

Una coppia di ricercatori del Lawrence Berkeley National Lab ha sviluppato un algoritmo, ora pubblicato su Physical Review Letters, che permette di valutare meglio la distorsione prodotta sulla radiazione cosmica di fondo dall’effetto lente gravitazionale, indotto da grandi masse di materia. Tra gli autori del nuovo “filtro” l’italiano Simone Ferraro. Nato e cresciuto a Casale Monferrato, in provincia di Alessandria, Ferraro dopo il liceo si è trasferito a Cambridge, in Inghilterra, dove si è laureato in matematica e fisica. In seguito è andato negli Stati Uniti, conseguendo un master all’Università di Chicago e un dottorato in astrofisica a Princeton. Infine l’approdo a Berkeley, in California, dove è attualmente staff al Lawrence Berkeley National Lab. Media Inaf lo ha intervistato.

Simone Ferraro. Crediti: Lbnl

Ferraro, qual è l’obiettivo del vostro studio?

«Il nostro studio riguarda il lensing gravitazionale della radiazione di fondo. Una lente gravitazionale, come una lente normale, distorce la luce che le passa attraverso. Più è grande la distorsione, e più è potente la lente, e il nostro obbiettivo è trovare questa potenza della lente, che in gravità è semplicemente la massa. In questo caso, la luce è la radiazione di fondo, cioè quell’emissione termica che rimane dal Big Bang e dal periodo iniziale di espansione. I fotoni provenienti dalla radiazione di fondo attraversano tutto l’universo osservabile e, mappando questa distorsione, possiamo vedere tutta la massa nell’universo, incluso quell’80 per cento che è materia oscura, la cui natura è uno dei principali problemi irrisolti in fisica».

Sembra quasi facile… è così?

«No. Il problema che ci trovavamo davanti è che purtroppo i nostri telescopi non ricevono solo fotoni dalla radiazione di fondo, ma c’è una grande contaminazione dall’emissione di galassie intorno a noi, soprattutto dalla polvere interstellare presente in queste. L’emissione di galassie crea uno “schermo” che maschera il segnale che stiamo cercando, e limita severamente la nostra abilità nel ricostruire la distribuzione di materia nell’universo».

Come siete riusciti a distinguere l’effetto lente gravitazionale dal “polverone galattico”?

Un set di immagini del fondo cosmico a microonde senza (in alto) e con (in basso) effetti di lente gravitazionale. (Crediti: Wayne Hu e Takemi Okamoto / Università di Chicago)

«Abbiamo usato un’idea semplice ed elegante: le simmetrie del problema. Una lente produce sia un ingrandimento (magnification), sia una distorsione asimmetrica (shearing) che allunga una direzione rispetto all’altra. Questi effetti possono essere visivamente intuiti guardando le distorsioni prodotte dal fondo di un bicchiere su una mappa della radiazione di fondo. L’idea che ha portato a una soluzione è stata quella di notare che l’emissione delle galassie è in media simmetrica, e quindi non produce distorsioni asimmetriche. Quindi tutto lo shearing nella mappa è prodotto dal lensing».

Questo in teoria. Ma all’atto pratico?

«Oltre all’idea, abbiamo trovato un metodo per separare in modo matematico l’effetto di shearing e magnification, e abbiamo dimostrato che stimare l’effetto di lensing dallo shearing porta a un risultato immune da tutte le contaminazioni. Questo non succede nei metodi tradizionali, che sono soggetti ai problemi di contaminazione».

Quali sono le applicazioni immediate del vostro risultato?

«Ottenere mappe più accurate e a più alta risoluzione della materia nell’universo, inclusa la materia oscura. Questo non solo ci aiuterà a studiare la materia oscura, ma anche alcuni tra gli altri grandi misteri cosmologici, come l’origine dell’energia oscura o la misura della massa dei neutrini».

E in seguito?

«Il nostro metodo è in corso di implementazione in alcuni dei maggiori esperimenti, e ci aspettiamo che la maggior parte dei futuri esperimenti ne tragga beneficio».

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