LO STUDIO SU PHYSICAL REVIEW LETTERS

Cinquanta “sirene” per la costante di Hubble

A mettere la parola fine al problema che forse più sta tormentando gli astrofisici – ovvero, di quanto sta accelerando l’espansione dell’universo – potrebbero essere le onde gravitazionali prodotte dalla fusione di stelle di neutroni. Si tratta “solo” di attendere di vederne unirsi una cinquantina di coppie

     14/02/2019

Rappresentazione artistica della fusione di stelle di neutroni. Crediti: University of Warwick/Mark Garlick

La risposta alla domanda fondamentale sulla vita, l’universo e tutto quanto magari non è esattamente 42, ma quasi: attorno a 50, dicono i cosmologi del Flatiron Institute, l’istituto della Simons Foundation (New York) dedicato a far progredire la ricerca scientifica attraverso metodi computazionali. E la domanda alla quale il team guidato da Stephen Feeney ha risposto oggi – attraverso un articolo pubblicato su Physical Review Letters – con questo ‘50’ è questa: quante coppie di stelle di neutroni dobbiamo veder fondersi l’una nell’altra per avere dati sufficienti a stabilire, una volta per tutte, quanto vale la costante di Hubble?

Ci siete ancora? Facciamo un passo indietro. Quale sia il valore della mitica costante di Hubble non sarà magari la “domanda fondamentale sulla vita, l’universo e tutto quanto” ma ci va molto vicino: è infatti il numero, misurato in chilometri al secondo per megaparsec (km/s/Mpc), che indica il tasso di espansione del cosmo. Una costante fondamentale – dice una fra le coautrici dell’articolo, la cosmologa Hiranya Peiris dello University College London – per «stimare la curvatura dello spazio, l’età dell’universo e il suo destino finale». Non male, no?

L’ambizione non è nuova: è ormai da un secolo che gli astrofisici si cimentano nella misura di questa costante. Il primo a proporre un valore fu Georges Lemaître, nel 1927 – e infatti da qualche mese l’equazione che descrive l’espansione dell’universo si chiama “legge di Hubble-Lemaître”. Da allora di strada se n’è fatta parecchia, c’è persino scappato un Nobel. Ma man mano che le misure si andavano affinando – e dunque man mano che le barre di errore si facevano via via più piccine – è emerso un problema. Un problema serio: i due metodi principali per misurare la costante di Hubble danno due risultati fra loro incompatibili. Uno, il metodo astrofisico, basato sull’osservazione di stelle e supernove nell’universo locale, dà 73,5. L’altro, il metodo cosmologico, basato sulla mappa del fondo cosmico a microonde, dà invece 67. È quella che in gergo viene definita “tensione”.

Come uscirne? Il sistema più ovvio è ricorrere a un terzo parere, come quando due medici ci lasciano nell’incertezza – in tensione, appunto – proponendoci due diverse diagnosi. Già, ma chi? Sentito il parere del “dottor astrofisico” e quello del “dottor cosmologo”, dove lo trovo un “terzo dottore” – ovvero, un terzo metodo completamente indipendente dai primi due? La risposta ce la offre l’astronomia multimessaggera: chiediamolo alle onde gravitazionali.

Ricordate le due stelle di neutroni osservate e sentite fondersi nell’agosto del 2017 – prima volta  nella storia in cui sia stata registrata la controparte elettromagnetica di un evento gravitazionale? Ebbene, nell’urlo gravitazionale prodotto dalla fusione di due stelle di neutroni – “sirene standard”, le chiamano non a caso gli autori dello studio – c’è anche, a saperlo interpretare, qualche indizio utile a stimare la costante di Hubble. Sono segnali pressoché indistinguibili, immersi in un bagno di rumore. Ma come i fisici sanno bene, fra gli stratagemmi per far emergere il segnale dal rumore ce n’è uno abbastanza universale: fare molte misure.

Già, ma quante? Quante stelle di neutroni devono morire, affinché gli interferometri per onde gravitazionali collezionino dati a sufficienza per estrarre un valore utile? È esattamente questo numero ciò che Feeney e colleghi sono riusciti a stimare. «Abbiamo calcolato che, osservando 50 stelle binarie di neutroni nell’arco del prossimo decennio, avremo dati di onde gravitazionali sufficienti per determinare in modo indipendente la migliore misurazione della costante di Hubble», spiega lo scienziato. E se già state obiettando che “vabbè, fino a oggi abbiamo visto a malapena un solo evento, chissà quando mai arriveremo ad averne 50…”, Feeney ha una risposta anche per questo: «Dovremmo essere in grado di rilevare un numero sufficiente di fusioni entro 5-10 anni».

Si tratta solo di attendere. E di farsi trovare pronti a lasciarsi sedurre – al contrario di Ulisse – dal suono di queste esoticissime sirene. A partire dal prossimo run osservativo di Ligo/Virgo, in programma a breve.

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