SPACE WEATHER E TEORIA DEL CAOS

Un battito d’ali, ed è subito tempesta magnetica

Pubblicato su “Chaos” un nuovo metodo di analisi non lineare in grado di render conto del comportamento della magnetosfera considerata come sistema in uno stato lontano dall’equilibrio: potrebbe aiutare a prevedere le tempeste geomagnetiche. Con il commento di Mauro Messerotti, fisico solare all’Inaf di Trieste

     30/08/2018

Rappresentazione artistica dell’interazione fra vento solare e magnetosfera. Crediti: Nasa

Meteo terrestre e meteo spaziale e si avvicinano sempre di più. Per lo meno nel tipo di strumenti teorici messi in campo per studiarli. E proprio dal più popolare fra i processi meteorologici – quello del celebre “effetto farfalla” di Edward Lorenz – prende le mosse uno studio, pubblicato sull’ultimo numero di Chaos, per mettere a punto un modello che aiuti a prevedere il comportamento delle tempeste geomagnetiche, “calcolando” la risposta a breve termine del campo magnetico terrestre alle raffiche del vento solare.

“Calcolando” fra virgolette, perché l’approccio utilizzato dagli autori della ricerca – guidata da Reik Donner del Potsdam Institute for Climate Impact Research tedesco – è quello di considerare la magnetosfera terrestre un sistema caotico. Se nell’esempio di Lorenz il battito d’ali di una farfalla in Brasile provocava un tornado in Texas, qui il “tornado” è la tempesta geomagnetica che può verificarsi a seguito di un’espulsione coronale di massa. Ciò che accomuna i due contesti è, appunto, la caoticità: un paradigma al quale ben si adatta il campo magnetico terrestre, sostengono gli autori dello studio, allorché il vento solare lo allontana dalla posizione di equilibrio. E i sistemi lontani dall’equilibrio – essendo caratterizzati da ciò che i matematici definiscono una sensibilità esponenziale alle condizioni iniziali – spesso subiscono cambiamenti repentini, come la transizione improvvisa da uno stato di quiescenza alla tempesta.

Nel loro studio, Donner e colleghi hanno preso i valori orari di disturbance storm-time (Dst) registrati in occasione di due tempeste geomagnetiche molto intense, quelle del 31 marzo e del 6 novembre 2001, e li hanno dati in pasto ad algoritmi di analisi non lineare. Per la precisione, si sono avvalsi della recurrence quantification analysis e della recurrence network analysis. Una tecnica, scrivono nelle conclusioni, che ha consentito di discriminare con un’accuratezza senza precedenti le condizioni di tempesta da quelle di quiete.

Quale utilità può avere un simile approccio? Lo abbiamo chiesto a Mauro Messerotti, ricercatore all’Osservatorio astronomico dell’Inaf di Trieste e senior advisor dell’Inaf per lo space weather. «Geospazio e geosfera sono permeati dal campo geomagnetico che, nel geospazio, dà origine alla magnetosfera terrestre. Questi sistemi fisici sono accoppiati in modo non lineare tra loro e con il vento solare in cui sono immersi. La nostra stella determina lo stato fisico del vento solare, e quindi della magnetosfera, che acquisisce energia: tale perturbazione dà origine alle tempeste e alle sub-tempeste geomagnetiche, che hanno impatto sui sistemi tecnologici e biologici. Quindi sarebbe fondamentale poterle prevedere con un buon anticipo temporale. Purtroppo tutti questi sistemi fisici sono complessi e hanno un comportamento intrinsecamente caotico, il che rende problematica la previsione della loro evoluzione nel tempo».

«Gli autori del lavoro sono specialisti nell’analisi di serie temporali non stazionarie, come quelle che derivano dall’evoluzione nel tempo di specifici descrittori dei sistemi fisici in esame, mediante raffinate tecniche derivanti dalla dinamica non lineare. Hanno perciò applicato», spiega Messerotti, «l’analisi di ricorrenza alle serie temporali dell’indice geomagnetico Dst, legato alle fluttuazioni della corrente ad anello, per due tempeste geomagnetiche, osservate nel Ciclo 23, secondo un approccio innovativo. Hanno così potuto caratterizzare compiutamente gli stati “calmi” e quelli “perturbati” del campo geomagnetico, ponendo le basi metodologiche per tecniche di previsione».

«Si tratta sicuramente di un metodo interessante», conclude Messerotti, «che però richiederà ulteriori affinamenti per comprendere anche altri aspetti della fenomenologia, prima di poter essere considerato un tassello verso un modello operativo per lo space weather».

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