NUOVE POSSIBILITÀ PER STUDIARE IL CIELO

Emissione contemporanea di fotoni e neutrini

Per la prima volta si è visto un oggetto celeste emettere sia fotoni sia neutrini. Con il consenso dell’autrice, l’astrofisica dell’Inaf Patrizia Caraveo, vi riproponiamo questo articolo pubblicato sul Sole 24 Ore

     12/07/2018

Crediti: Nasa/Fermi e Aurore Simonnet, Sonoma State University

Fare l’astronomo non è mai stato così eccitante. L’annuncio dato oggi dalla National Science Foundation a Washington segna la nascita di un nuovo modo di studiare il cielo. Per la prima volta si è visto un oggetto celeste emettere sia fotoni sia neutrini. I fotoni permettono di identificare la sorgente dei neutrini mentre i neutrini svelano i meccanismi fisici alla base dell’emissione dei fotoni e ci indicano la strada per risolvere un altro mistero cosmico.

Si chiama astronomia multimessaggero, appunto perché coniuga diversi messaggeri celesti.  Gli astronomi e i fisici da tempo lavoravano fianco a fianco, ma tutto è giunto a maturità nell’estate del 2017. Un mese dopo l’onda gravitazionale Gw 170817, prodotta dalla fusione di due stelle di neutroni, e studiata dagli astronomi di tutto il mondo, il 22 settembre è stata la volta di Ic-170922A, un neutrino molto energetico rivelato dallo strumento IceCube, che opera immerso nei ghiacci dell’Antartide.

L’energia del neutrino era così alta da fare escludere ogni origine “locale”. Doveva essere di provenienza cosmica. Dal momento che i neutrini viaggiano in linea retta, come i fotoni, IceCube ha lanciato una allerta neutrino chiedendo a tutti i telescopi disponibili di osservare la regione, nella costellazione di Orione, dalla quale era stato visto arrivare il neutrino.  L’allerta era principalmente rivolta ai telescopi gamma che sono operativi in orbita ed al suolo perché i processi fisici che producono neutrini di alta energia, attraverso interazione di protoni molti energetici, devono produrre anche raggi gamma di alta energia. Pur avendo già risposto inutilmente ad altre allerte neutrini, gli astrofisici hanno disciplinatamente attivato i protocolli previsti perché la fortuna aiuta solo che è pronto ad acchiapparla.

Il telescopio Fermi, una missione per studiare il cielo gamma della Nasa alla quale l’Italia partecipa in modo importante attraverso Asi, Inaf e Infn, ha segnalato subito la presenza di una sorgente gamma che appariva più brillante del solito. Si trattava di Txs 0506+056 (i numeri si riferiscono  alle coordinate celesti della sorgente), una galassia attiva già nota, che emette raggi gamma in virtù della presenza di un mostruoso buco nero centrale.

L’attività aumentata della galassia è stata notata anche dal satellite Agile, una missione tutta italiana nata dalla collaborazione di Asi, Inaf e Infn sempre per studiare i raggi gamma. Poi è entrato in azione lo strumento Magic alle Canarie, due enormi specchi capaci di cogliere la luce emessa dalla cascata di particelle prodotte dei fotoni gamma quando entrano nell’atmosfera. Magic ha rivelato fotoni gamma mille volte più energetici di quelli di Fermi.   Una conferma importante che la galassia era chiaramente in uno stato eccitato a seguito di qualche evento accaduto nelle vicinanze del buco nero che aveva fatto aumentare la produzione di energia. Sicuramente erano stati accelerati protoni che poi, scontrandosi , avevano dato origine al flusso di raggi gamma e neutrini, uno solo dei quali è stato rivelato perché stiamo parlando delle particelle più schive dell’Universo che interagiscono pochissimo con la materia. La misura della distanza di Txs 0506+056 ci dice che tutto era avvenuto 4,5 miliardi di anni fa, quando la terra (insieme a tutto il sistema solare) si stavano ancora formando.

Grazie alla coincidenza spaziale tra la direzione di arrivo del neutrino Ic-170922A e la galassia eccitata Txs 0506+056, il 22 settembre 2017 è nata una nuova accoppiata nell’astronomia multimessaggero: neutrini e fotoni. Gli astrofisici italiani, da sempre attivissimi nell’astrofisica delle alte energie, hanno giocato un ruolo di primo piano in questa scoperta che rappresenta anche un passo avanti nella comprensione delle sorgenti dei raggi cosmici, particelle accelerate che studiamo da 100 anni senza, però, riuscire a capire da dove vengano.

Articolo originariamente pubblicato sul Sole 24 Ore

Guarda l’intervista a Patrizia Caraveo su MediaInaf Tv: