CRISTIAN VIGNALI DI UNIBO È FRA I COAUTORI

Voracissimi, precocissimi, ultramassivi

I più grandi buchi neri dell’universo crescono più rapidamente di quanto nuove stelle si stiano formando all’interno delle galassie che li ospitano. La scoperta, compiuta servendosi dei dati di Chandra e di altri importanti telescopi, sta per essere pubblicata in due articoli su Mnras

     16/02/2018

Buchi neri nel Chandra Deep Field South. Crediti: X-ray: Nasa/Cxc/Penn. State/G. Yang et al & Nasa/Cxc/Ice/M. Mezcua et al.; Optical: Nasa/Stsci; Illustration: Nasa/Cxc/A. Jubett

Nella composizione qui accanto si può ammirare il Chandra Deep Field South: l’immagine più profonda mai ottenuta del nostro universo nei raggi X. L’immagine di Chandra (riportata in blu) è stata combinata con un’immagine ottica e infrarossa del telescopio spaziale Hubble (Hst) (in rosso, verde e blu). Ogni sorgente nell’immagine di Chandra è prodotta da gas caldo che cade dentro un buco nero supermassiccio, nel centro della galassia che lo ospita (come ben illustrato dalla rappresentazione artistica nel riquadro in basso a destra).

Nel corso di molti anni, gli astronomi hanno raccolto valanghe di dati sulla formazione delle stelle nelle galassie e sulla crescita dei buchi neri supermassicci che si trovano del loro centro. Questi dati hanno sempre suggerito che i buchi neri e le stelle delle galassie che li ospitano crescessero in tandem, ossia di pari passo. Tuttavia, i risultati provenienti da due diversi gruppi di ricercatori, entrambi in uscita su Monthly Notices of the Royal Astronomical Society, sembrerebbero ora indicare che, in realtà, i buchi neri nelle galassie più massicce crescono molto più velocemente di quelli meno massicci.

«Utilizzando dati straordinari presi da diversi telescopi, stiamo cercando di capire come si è svolta questa competizione cosmica iniziata miliardi di anni fa», ha detto Guang Yang della Penn State University, che ha guidato uno dei due studi. Dai dati di Chandra, del telescopio spaziale Hubble  e di altri osservatori, il team di ricercatori guidato da Yang – del quale fa parte anche Cristian Vignali, astrofisico dell’Università di Bologna e associato Inaf – ha studiato la velocità di crescita dei buchi neri in galassie poste a distanze che vanno da 4,3 a 12,2 miliardi di anni luce dalla Terra. I dati a raggi X hanno incluso anche le misure del Chandra Deep Field South e North e i dati di Cosmos-Legacy. In pratica, i ricercatori hanno calcolato il rapporto tra la velocità di crescita di un buco nero supermassiccio e la velocità di crescita delle stelle presenti nella galassia che lo ospita. L’idea comune era che questo rapporto fosse approssimativamente costante per tutte le galassie. Gli scienziati hanno invece scoperto che tale rapporto sembrerebbe essere tanto più alto quanto più sono massicce le galassie. Per le galassie la cui massa stellare è pari a circa 100 miliardi di masse solari, il rapporto è dieci volte superiore a quello delle galassie contenenti una quantità di stelle la cui massa è di circa 10 miliardi di masse solari.

Ma perché questi buchi neri supermassicci crescono più rapidamente? Una possibile spiegazione la offre Niel Brandt, coautore del lavoro, anche lui della Penn State University: «Forse perché le galassie più massicce sono più efficienti nel rifornire di gas freddo i loro buchi neri centrali di quanto lo siano quelle meno massicce». Ma non si sa ancora esattamente perché i più grandi buchi neri crescano più rapidamente e la ricerca per riuscire a capirlo è ancora molto attiva.

Crediti: X-ray: Nasa/Cxc/Sao, Optical: Nasa/Stsci, Radio: Nsf/Nrao/Vla

Parallelamente, un altro gruppo di scienziati, guidato da Mar Mezcua dell’Istituto di scienze spaziali spagnolo, ha trovato in maniera del tutto indipendente la prova che la crescita dei più grandi buchi neri dell’universo ha superato quella delle stelle nelle galassie che li ospitano. I ricercatori hanno studiato 72 galassie situate al centro di ammassi di galassie posti a distanze fino a circa 3,5 miliardi di anni luce dalla Terra, confrontato le loro proprietà nei raggi X e nelle onde radio. Lo studio di Mezcua ha utilizzato i dati X di Chandra e i dati radio dell’Australia Telescope Compact Array, del Karl G. Jansky Very Large Array (Vla) e del Very Long Baseline Array. Un oggetto del loro campione è la grande galassia che si trova al centro dell’ammasso di galassie di Ercole. L’immagine qui a fianco include dati Chandra (in viola), dati Vla (in blu) e dati ottici HST (in bianco).

Mezcua e i suoi colleghi hanno stimato le masse dei buchi neri in questi ammassi di galassie usando una relazione, ben nota agli astrofisici, che collega la massa di un buco nero alle emissioni X e radio associate al buco nero stesso. Le masse del buco nero sono risultate essere circa dieci volte più grandi delle masse stimate con un altro metodo, che parte dal presupposto che le masse dei buchi neri e delle galassie crescano in tandem. «Abbiamo trovato buchi neri molto più grandi di quanto ci aspettassimo», ha detto Mezcua. «Forse hanno avuto un qualche tipo di vantaggio all’inizio di questa gara cosmica, o forse il vantaggio è nella velocità con cui sono cresciuti nel corso di miliardi di anni». I ricercatori hanno scoperto che quasi la metà dei buchi neri del loro campione aveva una massa stimata di almeno 10 miliardi di volte la massa del Sole. Questo li colloca nella categoria dei pesi estremi, che alcuni astronomi chiamano buchi neri ultra-massivi. «Sappiamo che i buchi neri sono oggetti estremi», ha detto il coautore J. Hlavacek-Larrondo dell’Università di Montreal, «quindi non sorprende che gli esempi più estremi di questi oggetti abbiano infranto le regole che pensavamo dovessero seguire».

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