PIÙ METALLI, PIÙ LUCE

Nella chimica d’una stella il segreto del suo ciclo

Un nuovo studio a guida danese sulla composizione chimica di una stella quasi identica al Sole rivela nuovi particolari del meccanismo fisico che governa il ciclo solare. Un fenomeno che, con le sue fluttuazioni, influisce profondamente sulle variazioni climatiche terrestri

     08/01/2018

Animazione in cui la rotazione solare è resa evidente dalla presenza di macchie solari. Crediti: Nasa

Il Sole è composto approssimativamente per tre quarti di idrogeno e un quarto di elio. In realtà, circa il due per cento della sua massa è rappresentato da elementi chimici più pesanti di idrogeno ed elio, che gli astrofisici definiscono – in questo contesto – metalli.

Ereditata dalla nube molecolare da cui ha avuto origine la stella, la percentuale di metalli che compone una stella – benché piccola – gioca un ruolo significativo nel ciclo vitale dell’astro.

A questa conclusione è arrivato un gruppo internazionale di ricerca guidato da Christoffer Karoff della Università di Aarhus in Danimarca, che in un nuovo studio, pubblicato su Astrophysical Journal, riporta come le caratteristiche della stella Hd 173701 possano aiutare a comprendere la fisica sottostante al ciclo dell’attività solare.

Com’è noto, le cosiddette macchie solari – indicatrici di una più intensa attività solare e di un maggiore irraggiamento – si manifestano sulla superficie della nostra stella con una periodicità di circa 11 anni tra un massimo e l’altro. Il ciclo solare è governato dalla dinamo solare, che è frutto dell’interazione tra campi magnetici, convezione e rotazione del Sole, e che inverte la direzione del campo magnetico più o meno ogni 11 anni.

Cacciatori nella neve, Pieter Bruegel il Vecchio, 1565. Kunsthistorisches Museum, Vienna

Tuttavia, la nostra comprensione della fisica sottostante alla dinamo solare è lungi dall’essere completa. Un esempio è il misterioso minimo di Maunder, un periodo nel XVII secolo in cui le macchie quasi scomparvero dalla superficie del Sole per oltre 50 anni, e che coincise con la parte centrale e più fredda della cosiddetta piccola età glaciale, durante la quale l’Europa e il Nord America subirono inverni particolarmente freddi.

Nel nuovo studio, il gruppo di ricerca ha sviscerato le caratteristiche di Hd 173701, una stella – localizzata a 120 anni luce di distanza nella costellazione del Cigno – quasi gemella del Sole: stessa massa, stessa dimensione, stessa età, ma con il doppio di elementi pesanti nella sua composizione chimica.

Grazie alla combinazione di dati fotometrici, spettroscopici e astrosismologici, alcuni dei quali risalenti fino al 1978, i ricercatori sono riusciti a collezionare la serie di osservazioni più dettagliate sul ciclo di attività di una stella simile al Sole finora prodotte.

Hd 173701 presenta una variazione ciclica nella sua attività che si ripete ogni 7.4 anni, mentre l’ampiezza del ciclo si è rivelata più del doppio intensa rispetto a quella solare, particolarmente nell’irraggiamento in luce visibile. Il gruppo di ricerca è arrivato dunque alla conclusione che la presenza di una maggiore quantità di metalli rende più energico il ciclo di una stella simile al Sole.

In questa immagine del Sole ripresa dalla sonda Solar Dynamics Observatory della Nasa si possono notare sia macchie scure che zone diffuse più brillanti (facole), queste ultime meglio visibili verso i bordi. Crediti: Nasa/Sdo

Questo si verifica probabilmente perché, in primo luogo, gli elementi pesanti rendono la stella più opaca, il che modifica da radiativo a convettivo parte del meccanismo di trasporto dell’energia dall’interno verso l’esterno della stella, potenziando l’effetto dinamo.

In secondo luogo, gli elementi pesanti influenzano i processi sulla superficie e nell’atmosfera della stella. In particolare, il contrasto tra aree brillanti – chiamate facole – e lo sfondo omogeneo della superficie solare aumenta con l’aumentare della quantità di elementi pesanti, rendendo la variabilità fotometrica ciclica della stella più spiccata.

Secondo gli autori dello studio, queste nuove misure possono aiutarci a capire come l’irraggiamento solare sia cambiato nel tempo, offrendo – ad esempio – importanti indicazioni per spiegare l’attività presumibilmente debole e la conseguente ridotta luminosità del Sole verificatasi durante il minimo di Maunder.

Per saperne di più:

  • Leggi su Astrophysical JournalThe Influence of Metallicity on Stellar Differential Rotation and Magnetic Activity”, di Christoffer Karoff, Travis S. Metcalfe, Ângela R. G. Santos, Benjamin T. Montet, Howard Isaacson, Veronika Witzke, Alexander I. Shapiro, Savita Mathur, Guy R. Davies, Mikkel N. Lund, Rafael A. Garcia, Allan S. Brun, David Salabert, Pedro P. Avelino, Jennifer van Saders, Ricky Egeland, Margarida S. Cunha, Tiago L. Campante, William J. Chaplin, Natalie Krivova, Sami K. Solanki, Maximilian Stritzinger e Mads F. Knudsen