BIAS DI GENERE NEI PAPER DI ASTRONOMIA

Cosa c’è in un nome?

Uno studio su 200mila articoli scientifici pubblicati, dal 1950 a oggi, nelle più prestigiose riviste astronomiche evidenzia un pregiudizio di genere: tra gli articoli citati, c’è un sistematico 10 per cento in più di articoli scritti da primi autori uomini rispetto a quelli scritti da prime autrici donne

     26/05/2017

Foto di Gerald Bruneau per la mostra ”Plurale femminile”. Crediti: G. Bruneau / Inaf

Per chi lavora nella ricerca, la misura del successo del lavoro svolto sta nel riscontro ricevuto dalla comunità scientifica che si occupa degli stessi temi. In termini tecnici: il numero di volte che il proprio lavoro viene citato dalle colleghe e dai colleghi.

In una sorta di circolo virtuoso, maggiore è il numero di citazioni del proprio lavoro, maggiore è la visibilità nella comunità scientifica della propria ricerca e, di conseguenza, il prestigio che se ne ricava (inviti a convegni, possibilità di accedere a finanziamenti). Spesso meccanismi cosiddetti oggettivi per giudicare il valore della ricerca si basano su questo tipo di indicatori, che hanno quindi ricadute sulla carriera.

Lo studio di Nature Astronomy ha analizzato, con sofisticate tecniche statistiche, un campione di ben 200mila articoli pubblicati nelle più prestigiose riviste astronomiche dal 1950 a oggi, e ha affrontato in modo rigoroso la domanda: la scelta dei lavori che citiamo come rilevanti nella letteratura scientifica è neutrale rispetto alla variabile di genere?

La risposta alla domanda è un netto no: a parità di argomento, anno e rivista di pubblicazione e anzianità scientifica di chi è alla testa della lista degli autori, si fa preferenzialmente riferimento a un lavoro in cui il primo autore è un collega uomo, e non a un lavoro la cui prima autrice è una collega donna.

Detto in altre parole: tra gli articoli citati nei nostri lavori c’è sempre un sistematico 10 per cento in più di articoli scritti da primi autori uomini rispetto a quelli scritti da prime autrici donne. Lo studio di Nature Astronomy mostra che storicamente la situazione è certo migliorata rispetto agli anni ‘70, quando il differenziale di citazioni toccava ben il 40 per cento, ma i miglioramenti negli ultimi anni sono così lenti che, al passo con il quale le cose cambiano, parliamo di generazioni per raggiungere l’imparzialità di genere – almeno nel campo delle citazioni!

Gli studi su quanto il cosiddetto pregiudizio di genere (o gender bias) pervada la nostra percezione e influenzi i nostri giudizi sono vari e coprono molti campi. È stato dimostrato che quando lo stesso progetto di ricerca è presentato a una giuria di esperti, non solo la probabilità che abbia una buona valutazione dipende significativamente dal fatto che sia proposto da una donna o da un uomo, ma anche il salario offerto è sempre significativamente minore (circa il 10 per cento) per la proponente donna.

Torna in mente la tradizione – o strategia? – tutta femminile di scrivere usando pseudonimi maschili, dalle sorelle Bronte a George Eliot. Ma anche più di recente la scelta di due donne scrittrici di successo: JK Rowling e EL James, che pure hanno nascosto il loro genere dietro a neutre iniziali. Certo non sappiamo quanto la fortunata autrice di Harry Potter avrebbe guadagnato se si fosse firmata per esteso, ma un suggerimento precauzionale che viene dato spesso alle donne che lavorano nell’ambito scientifico è quello di evitare di esporre esplicitamente il proprio genere, firmando i propri articoli scientifici usando solo le iniziali del proprio nome.

Tuttavia, nascondere completamente il proprio genere non è certo facile nel mondo connesso in cui viviamo. Per poter tentare di superare il problema che i colleghi del lavoro di Nature Astronomy evidenziano, occorre diffondere la consapevolezza che il pregiudizio sessista è sempre in agguato ed è pronto a influenzare le nostre scelte – che lo si voglia o meno. Solamente dalla consapevolezza del potenziale pregiudizio può nascere l’attenzione e lo sforzo che occorre mettere in atto – costantemente e con pervicacia – per evitarlo.


L’autrice: Angela Iovino è presidente del Cug Inaf (Comitato unico di garanzia per le pari opportunità, la valorizzazione del benessere di chi lavora e contro le discriminazioni).  Un documento recentemente elaborato dal Cug Inaf sulla problematica del pregiudizio di genere si può trovare qui: “Linee guida preparate dal CUG per le commissioni INAF di selezione del personale

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