I SEGRETI DELLE ILLUSTRAZIONI ARTISTICHE

Ecco come nasce un mondo alieno

La recente scoperta delle sette sorelle della Terra ha prodotto un’enorme eco mediatica. Ma la vera domanda è: quale aspetto hanno questi mondi? Oggi la computer grafica ci aiuta ad immaginare come potrebbero essere fatti corpi celesti che non siamo in grado di vedere direttamente. L'intervista a Dänielle Futselaar, designer di esopianeti

     05/03/2017

Illustrazione artistica di Kepler 138b. Crediti: Dänielle Futselaar

La scoperta delle sette sorelle della Terra, annunciata dalla NASA in pompa magna lo scorso mercoledi 22 febbraio, ha fatto il giro del pianeta. Già, parliamo proprio di mondi simili al nostro per dimensioni, di un sistema planetario in miniatura in cui almeno tre corpi celesti potrebbero ospitare acqua allo stato liquido. Ma che aspetto hanno davvero questi mondi? Come sono fatti e quali sono i criteri che utilizzano i grafici quando devono illustrare corpi celesti che non siamo in grado di vedere direttamente?

La computer grafica è al momento l’unico strumento che ci permette di avvicinare la nostra fantasia, l’immaginario collettivo, quasi eliminando ogni barriera spaziotemporale, trasformando quei puntini che caratterizzano le curve di luce degli astronomi in vere e proprie immagini. Tim Pyle e Robert Hurt sono due specialisti che fanno questo di mestiere a Pasadena, in California, e sono stati loro che hanno prodotto le illustrazioni artistiche dei magnifici sette facendo esplodere il web e non solo. La coppia è alquanto affiatata: Hurt è un astronomo amante dell’arte mentre Pyle è un artista amante della scienza che ha già realizzato alcune animazioni come Jimmy Neutron e Spongebob Squarepants, lavorando anche agli effetti speciali per film come X-Men. Il loro lavoro è molto gratificante specie quando si tratta di far parlare immagini astronomiche che possono trasmettere grandi emozioni.

Il ritrovamento di questo particolare sistema planetario ha rappresentato un grande investimento per Pyle e Hurt. Il processo è stato un continuo avanti e indietro tra artisti e astronomi. Gli scienziati hanno fornito tutti gli elementi del sistema planetario Trappist-1 a loro disposizione in termini di dimensioni, orbite e masse, derivate col metodo del transito. Insieme hanno raggiunto ciò che Hurt chiama un “modello plausibile” dopo aver elaborato le immagini con alcuni programmi come LightWave 3D, Adobe After Effects e Photoshop.

Rappresentazione artistica dei sette pianeti che compongono il sistema di Trappist-1 in ordine di distanza dalla stella madre. Crediti: NASA/JPL

Ma da dove si parte? Da ciò che possiamo vedere: dai corpi celesti più interni del sistema solare. Trappist-1b, il pianeta più interno, è stato realizzato a partire da Io, uno delle quattro lune principali di Giove. Entrambi gli oggetti orbitano molto vicino alla loro stella o pianeta, rispettivamente, e sono soggetti ad una intensa radiazione che trasforma il colore delle loro superfici in arancione, dove sono presenti attività vulcaniche che producono lava. Inoltre, questi oggetti più vicini sono “bloccati” dalla gravità perciò mostrano sempre la stessa faccia. Il secondo pianeta più interno è meno soggetto alla radiazione stellare che è ancora sufficiente per renderlo un mondo roccioso. Nel caso di Trappist-1d, che si trova nella zona abitabile, può esistere acqua in superficie ma solo nella parte in ombra: Hurt ha suggerito a Pyle di disegnare una striscia di color turchese sul terminatore che delimita la zona di giorno e notte e dove la temperatura ha il valore ideale per favorire la presenza dell’acqua liquida. Dall’analisi dei dati, il quarto e il quinto pianeta appaiono meno densi e perciò sono più simili alla Terra: da qui deriva il colore blu e bianco. Gli astronomi non sanno ancora se i pianeti possiedano eventuali atmosfere. Tuttavia Trappist-1g, il più grande della famiglia, sembra il migliore candidato per averne una. Gli autori si sono ispirati a Nettuno, mettendoci qualche striscia di nube, mentre il color verde è stato scelto da Hurt per evitare le somiglianze con i giganti gassosi del nostro sistema planetario. Per quanto riguarda il pianeta più esterno, Trappist-1h, si sa poco al momento, ma qualsiasi oggetto che si trova nella zona più distante dalla propria stella risulta estremamente freddo: da qui l’idea di immaginarlo come Plutone, una sorta di palla di ghiaccio.

Dunque, si fanno un sacco di prove e disegni, spesso molto diversi da ciò che vogliono vedere gli astronomi, nonostante essi concedano a volte qualche licenza artistica. Un esopianeta che ricordi troppo la Terra darebbe al pubblico un’idea sbagliata di ciò che è stato scoperto: nel caso di Trappist-1 sappiamo che i pianeti hanno circa le dimensioni della Terra e le somiglianze si fermano qui. Il lavoro più importante di Pyle e Hurt è stato quello di mostrare la possibilità, ma non la certezza, della presenza di acqua liquida. Persino la presenza di qualche tonalità di verde scuro avrebbe suggerito inavvertitamente la presenza di vegetazione. A volte bisogna alienarsi, è il caso di dirlo, da ciò che conosciamo qui sulla Terra.

Dänielle Futselaar

Ma per saperne di più, Media INAF ha raggiunto Dänielle Futselaar che si definisce una “artista ufficiale dell’astronomia” e che ha già collaborato per l’Istituto SETI, il METI International, la NASA e ASTRON e alla quale abbiamo posto alcune domande su come nascono le illustrazioni artistiche dei mondi alieni:

Come fa un designer a realizzare un’immagine grafica di un mondo alieno?

«Il mio lavoro consiste principalmente di illustrazioni artistiche. Ciò che voglio dire è che disegno tutto a mano. Per far questo creo delle illustrazioni digitali utilizzando un WACOM-tablet e Photoshop. Utilizzo la tecnica digitale perché è più immediata e veloce rispetto a un disegno tradizionale su carta perciò diventa più facile intervenire se devo fare delle correzioni. A volte, ricorro alla fotografia manipolandola col fotoritocco se gli scienziati desiderano questa tecnica. Tuttavia, ci sono dei vantaggi quando bisogna illustrare la scoperta di un mondo alieno: infatti, se con il fotoritocco alcune persone credono che si tratti di un’immagine reale di un pianeta, quando invece non lo è perché si tratta, appunto, di una manipolazione dell’immagine stessa, con l’illustrazione artistica diventa più chiaro che si tratta invece di una “percezione dell’artista”».

La composizione dei pianeti nel sistema Kepler 186: ghiaccio, ferro, roccia. Crediti: Dänielle Futselaar

Si può dire che la realizzazione grafica finale è il risultato dell’interazione tra lo scienziato e il designer?

«Direi molto. Infatti, tutte le immagini dei mondi alieni che ho creato sono state il frutto di una stretta collaborazione con gli astronomi. Spesso, il responsabile del progetto mi spiega che tipo di scoperta hanno fatto e ciò che desiderano vedere nell’immagine finale. Ricevo tanta informazione, la maggior parte via email, e faccio tante domande finché ritengo di avere capito cosa essi si aspettano di vedere alla fine dell’elaborazione. Poi produco una bozza e attendo i loro commenti. Spesso, però, succede che devo fare una decina o una quindicina di disegni, a causa delle correzioni che mi vengono assegnate dagli scienziati, prima di arrivare al risultato finale. Si discute di ogni dettaglio. Inoltre, ad alcuni scienziati si chiede di esprimere il proprio pensiero come nel caso di Kepler 452b: per realizzare l’illustrazione di questo pianeta fui invitata a discutere con un gruppo di astronomi attraverso una teleconferenza perché bisognava sentire il parere di un geologo. Con la scoperta di Kepler 186f fu importante l’esperienza di uno scienziato specializzato nella fotosintesi di mondi alieni: gli astronomi volevano che nell’illustrazione dovesse apparire un’eventuale presenza di vegetazione. L’intensa radiazione stellare proveniente dalla stella madre, in particolare nell’infrarosso, avrebbe trasformato le foglie in un colore giallastro. Perciò, anche se la gente ha creduto che questo tipo di rappresentazione possa essere familiare al nostro autunno terrestre, o che io sia stata molto creativa, in realtà è scientificamente giustificata. A parte le istruzioni che devo seguire per realizzare i render, gli astronomi mi inviano diverse immagini e gli articoli prima della pubblicazione della scoperta. Naturalmente, è molto entusiasmante sapere prima degli altri le scoperte di nuovi mondi. Gli scienziati sono gente meravigliosa e appassionata ed è piacevole lavorarci insieme. A loro piace parlare della propria ricerca e non vedono l’ora di rispondere alle domande».

Illustrazione artisitica di Kepler 452b. Crediti: Dänielle Futselaar

Quali sono gli ingredienti principali che utilizzi per idealizzare un mondo alieno, cioè quali sono i criteri su cui ti basi e che poi metti in pratica?

«Gli ingredienti ideali per illustrare un mondo alieno si collegano molto alla Terra: rocciosa, non molto grande né molto piccola, con un’atmosfera sottile, situata alla giusta distanza dal Sole (non troppo calda o troppo fredda). Questi sarebbero gli ingredienti ideali. Abbiamo un solo esempio di pianeta dove esiste la vita, perciò qualsiasi corpo celeste che presenta simili condizioni dovrebbe essere un ottimo candidato dove trovare eventuali forme di vita. In tal senso, Kepler 186f, Kepler 452b e Trappist-1 rappresentano davvero scoperte interessanti. Ma gli ingredienti reali che utilizzo per realizzare un’illustrazione sono le istruzioni che ricevo dagli scienziati. Io creo ciò che gli scienziati vogliono vedere. In pratica, cerchiamo di produrre le immagini quanto più accurate e fedeli possibili. Trovo questo molto importante dato che l’illustrazione rappresenta una scoperta scientifica e quindi deve contribuire al loro lavoro di ricerca. Ad ogni modo, c’è un margine ragionevole di creatività artistica e questo è dovuto al fatto che nessuno è andato a visitare un mondo alieno e a scattare una foto. Perciò, a parte le numerose istruzioni che mi danno gli astronomi, il resto proviene dalla mia immaginazione e fantasia. Tuttavia, ogni particolare che io realizzo nelle illustrazioni viene richiesto e controllato dagli scienziati. Credo che l’universo sia molto variegato di quanto possiamo immaginare. E questo si può considerare anche nel caso della vita sui pianeti extrasolari. Per tale motivo sono molto curiosa di ciò che ci riserveranno le prossime scoperte. Credo che ci potrebbero essere nel futuro altri “ingredienti ideali” da prendere in considerazione quando abbiamo a che fare con le illustrazioni di un mondo alieno».

Insomma, Trappist-1 è troppo lontano dalla Terra e con l’attuale tecnologia non siamo nemmeno in grado di osservare direttamente i suoi pianeti. Inoltre, nonostante i poster che spesso vengono mostrati dalla NASA sul turismo spaziale, è molto improbabile che gli umani possano viaggiare nello spazio, almeno questa generazione. Occorrerebbero almeno quattro decenni viaggiando alla velocità della luce per raggiungere il sistema stellare. Al momento, l’unico modo per “visitare” questi mondi è quello di ammirare queste magnifiche illustrazioni.