AL QUARTO FLYBY È TORNATO IN CAMPO ANCHE JIRAM

Juno, vince la prudenza: orbita invariata

Lo scorso 2 febbraio la sonda Nasa ha compiuto il quarto volo radente su Giove. Le ottime prestazioni degli strumenti, compreso lo spettrografo italiano, hanno convinto il team della missione a non correre il rischio che comporterebbe passare dall’orbita di 53 giorni a quella, inizialmente programmata, di 14 giorni di durata

     21/02/2017

Il polo sud di Giove fotografato dalla JunoCam il 2 febbraio 2017 da un’altitudine sopra le nubi di 101mila km. Crediti: Nasa Jpl / Juno

Cambio di programma per Juno, la sonda Nasa in orbita attorno a Giove dal luglio 2016: i tecnici della missione hanno deciso di rinunciare all’orbita più veloce, quella – inizialmente prevista – che avrebbe condotto la sonda Nasa a compere un giro completo attorno al gigante del Sistema solare in soli 14 giorni. La sonda resterà dunque anche per le prossime 8 orbite in calendario (la fine della missione, se non verrà prolungata, è per il luglio 2018) sull’orbita da 53 giorni, la stessa mantenuta per i primi quattro giri attorno al pianeta. Una decisione, questa, che era già nell’aria da qualche mese, dopo che nel mese di ottobre erano emersi problemi tecnici alle valvole dell’elio che avevano indotto i tecnici Nasa a mantenere l’orbita lunga anche per il terzo e quarto flyby.

«Nel corso di un’analisi approfondita, abbiamo preso in esame molteplici scenari con Juno su un’orbita di periodo più breve, ma c’era il timore che un’ulteriore accensione del motore principale avrebbe potuto condurre a un’orbita non ottimale», spiega Rick Nybakken, project manager di Juno al Jet Propulsion Laboratory (Jpl) della Nasa, riferendosi alla manovra necessaria al cambio di orbita. «In fin dei conti, un’altra accensione avrebbe rappresentato un rischio per il completamento degli obiettivi scientifici di Juno».

Ed è stato proprio il basso impatto sugli obiettivi scientifici l’elemento decisivo per scegliere la linea della prudenza. Poiché il sorvolo sulle nubi di Giove, al momento del massimo avvicinamento, arriverà comunque alla distanza minima di 4.100 km indipendentemente dal periodo orbitale, si legge infatti nel comunicato stampa del Jpl, quest’ultimo non condiziona la qualità dei dati raccolti da Juno durante i flyby. Non solo: mantenere l’orbita da 53 giorni offre l’opportunità d’esplorare ulteriormente la regione ai confini dello spazio dominato dal campo magnetico di Giove, dicono i ricercatori, aumentando il valore della scienza di Juno.

E proprio a questo proposito un’ottima notizia riguarda lo strumento italiano, Jiram, il Jovian InfraRed Auroral Mapper: lo spettrografo – finanziato dall’Agenzia Spaziale Italiana e realizzato da Finmeccanica – a bordo di Juno di cui è responsabile Alberto Adriani dell’INAF-IAPS di Roma. Nel corso del terzo flyby, nonostante fosse in perfetta forma, Jiram è dovuto restare in panchina – unico fra gli otto strumenti a bordo di Juno – a causa di un problema al software della sonda. C’era il timore che l’aggiornamento del software non arrivasse in tempo utile per far rientrare in campo Jiram in occasione del quarto perigiove, quello del 2 febbraio scorso. Invece tutto è andato per il meglio, e lo spettrografo italiano non ha deluso le attese.

«Durante il quarto passaggio ravvicinato abbiamo ottenuto stupende immagini dei poli a 5 µm. L’osservazione dei poli», dice Adriani a Media Inaf, «era il primo obiettivo di questo passaggio, dato che quello precedente era stato invece dedicato specificatamente alle aurore. I risultati sono molto belli, cose mai viste prima: i poli, infatti, non si vedono dalla Terra, e delle missioni precedenti nessuna aveva potuto osservarli, dato che avevano tutte un profilo di missione che era prevalentemente “equatoriale”, non “polare” come Juno».