L’INDIZIO È UNA RIGA D’EMISSIONE A 3.5 KEV

Chandra potrebbe aver “visto” la dark matter

Da Bellaria-Igea Marina a Yale, l’astrofisico Nico Cappelluti di strada ne ha fatta. E ora, grazie a una sorta di carotaggio dell’alone di materia oscura della Via Lattea, lui e il suo team sono sulle tracce d’un particolare tipo di neutrino che, se la sua esistenza verrà confermata, potrebbe spiegare uno dei più grandi misteri dell’universo. Media Inaf lo ha intervistato

     03/02/2017

Nico Cappelluti, ricercatore postdoc alla Yale University

Ancora non è stato pubblicato, lo hanno appena messo in rete, ma già sta catalizzando l’attenzione di astronomi e fisici di mezzo mondo, e del pubblico in generale – tanto che persino la Bbc gli ha dedicato, giusto ieri, un lungo articolo. È uno studio che, se i risultati saranno confermati, potrebbe – nientemeno – indicare la strada per risolvere il mistero della materia oscura. A condurlo, analizzando 10 milioni di secondi di dati raccolti dal telescopio spaziale Chandra della Nasa, è stato un team internazionale guidato dall’italiano Nico Cappelluti, ricercatore postdoc originario di Bellaria-Igea Marina, in provincia di Rimini, ma da un anno e mezzo di stanza a Yale, a due ore di treno da New York, dove ha vinto una fra le borse di studio più ambite al mondo per chi si occupa di cosmo e dintorni: la YCAA Postdoctoral Prize Fellowship in Astronomy. Ed è proprio a New Haven, nel Connecticut, che Media Inaf lo ha raggiunto per capire il perché di tanta eccitazione.

Nico Cappelluti, come mai tutta questa frenesia attorno al suo articolo?

«È online da una settimana e già mi saranno arrivate una cinquantina d’email da fisici delle particelle: c’è chi chiede chiarimenti sulle misure e chi sulla loro interpretazione, c’è chi vorrebbe essere citato. C’è molto interesse, insomma, perché sulle possibili candidate a essere particelle di materia oscura c’è un’intera branca della fisica che è in piena agitazione».

Le ipotetiche particelle responsabili della materia oscura si dividono in due grandi classi: quelle massive, come le Wimp, e quelle invece più leggere. L’indizio che avete rilevato, una riga d’emissione a 3.5 keV, in che direzione va?

«Anzitutto occorre dire che la riga che vediamo è significativa a tre sigma: dunque è ancora troppo presto per escludere che sia una fluttuazione statistica. Il fatto, però, che questa riga sia stata osservata da altri quattro strumenti, proprio a 3.5 keV, ci spinge a pensare che sia qualcosa di vero. La cosa che ci colpisce molto è che, tracciando un grafico della distribuzione del flusso della riga a 3.5 keV in tutte le osservazioni fatte nella Via Lattea, il nostro punto si mette esattamente sul profilo di Navarro-Frenk-White. Questo significa che sia l’intensità che l’energia sono consistenti con il modello di warm dark matter sterile neutrino. E suggerisce come possibili candidati dei neutrini dotati di massa, dunque non relativistici, che decadono in un fotone e in un neutrino normale».

Particelle “pesanti” per essere dei neutrini, ma “leggere” rispetto, per esempio, alle Wimp?

«Esatto».

Diceva di osservazioni della stessa riga effettuate con altri quattro strumenti: quali sono?

«Xmm, Suzaku, Nustar e precedenti misure fatte sempre con Chandra».

E il vostro risultato cos’ha di nuovo, rispetto a queste misure?

«Una delle grandi controversie, su questa riga, era se non potesse essere in realtà generata da qualche transizione dovuta a gas caldo, presente negli ammassi, o nei centri delle galassie. Ma la regione che noi osserviamo è sostanzialmente l’alone della nostra galassia, dove il gas caldo è assente, e dove dunque non ci si aspetta questo tipo di transizione. Non solo: siamo anche in grado di escludere che a produrre la riga sia un meccanismo noto come charge-exchange, in italiano “scambio di carica”».

Hitomi, lo sfortunato satellite giapponese per le alte energie, nell’arco della sua brevissima vita lavorativa s’era messo anch’esso sulle tracce della riga a 3.5 keV, senza però trovarla. Come si spiega?

«I nostri risultati sono pienamente consistenti con quelli di Hitomi: questi ultimi escludono, infatti, solamente che la riga a 3.5 keV possa essere così brillante nell’ammasso di Perseo».

E ora che succede? Quali saranno i vostri prossimi passi?

«Attendiamo che il secondo Hitomi venga lanciato, se tutto va bene dovrebbe avvenire nel 2021, anche se non è previsto che abbia l’efficacia per vedere bene questa riga. La risposta definitiva l’avremo solamente con il futuro telescopio spaziale Athena. Ma già con altri dati di Chandra dovremmo riuscire a capire se la riga è o meno una fluttuazione statistica, o se comunque è troppo debole per indicare una possibile risposta al problema della dark matter».

Detto altrimenti, rischiate di essere voi stessi a invalidare la vostra ipotesi?

«Già, e ci proveremo in tutti i modi, perché il nostro è un approccio molto laico».


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