Ansia. Depressione. Disturbi di memoria. Capacità decisionali compromesse. Un elenco che mette i brividi. Tutti sintomi riscontrati nel comportamento di roditori maschi (topi transgenici di sei mesi e ratti di 7-9 mesi) nel corso di prove – volte a verificare sei diversi paradigmi comportamentali – effettuate a 12 e 24 settimane dopo averli irradiati con particelle cariche (ioni di ossigeno e di titanio) in dosi comprese fra 0.05 e 0.25 Gy/min (Gray al minuto). Esposizione tesa a simulare il bombardamento di raggi cosmici che si troveranno ad affrontare i futuri astronauti impegnati in missioni dirette verso Marte.
Sintomi, insomma, che puntano il dito verso un aumentato rischio di demenza. Confermando così i risultati di uno studio analogo, condotto dallo stesso team e pubblicato su Science Advances nel maggio 2015 (“What happens to yopur brain on the way to Mars”), con una preoccupante differenza: mentre quello pubblicato lo scorso anno si riferiva a danni a breve termine (6 settimane), questo uscito oggi su Scientific Reports riferisce effetti presenti anche a medio e lungo termine (12 e 24 settimane). Dunque, persistenti, come esplicitato sin dal titolo: “Cosmic radiation exposure and persistent cognitive dysfunction”.
«Una notizia decisamente non buona per gli astronauti destinati a un viaggio di due o tre anni verso Marte e ritorno», commenta lo scienziato che ha coordinato lo studio, Charles Limoli, professore di radio-oncologia presso la University of California a Irvine (UCI). «L’ambiente spaziale sottopone gli astronauti a rischi particolari. L’esposizione a queste particelle può portare a una serie di potenziali complicazioni relative al sistema nervoso centrale che possono verificarsi durante e persistere a lungo anche dopo il termine dei viaggi nello spazio. Complicazioni come una riduzione delle performance in vari tipi di prestazioni, deficit di memoria, ansia, depressione e difficoltà decisionali. Molti di questi effetti avversi di tipo cognitivo potrebbero persistere e progredire per tutta la vita».
Non solo. Oltre a mostrare danni ai neuroni e presenza significativa d’infiammazione nel cervello dei roditori sottoposti a irradiazione rispetto a quelli del gruppo di controllo, l’esperimento sembra suggerire una riduzione nell’attività di un particolare processo detto di “estinzione della paura”: quello che ci consente di sopprimere in parte le associazioni spiacevoli legate a un evento traumatico, consentendoci così di superarlo, come nel caso di una persona che abbia rischiato d’affogare e che riesce comunque a ritrovare il piacere del nuoto. Una riduzione con pesanti conseguenze. «Un deficit nel processo di estinzione della paura potrebbe renderci inclini all’ansia», spiega infatti Limoli, «e questo potrebbe rappresentare un problema, nel corso di un viaggio di tre anni verso Marte e ritorno».
Trattandosi di un articolo di medicina spaziale pubblicato su Scientific Reports, è opportuno ricordare che un altro recente studio, piuttosto allarmante, relativo agli effetti delle missioni nello spazio profondo sul sistema cardiovascolare (ne avevamo parlato anche su Media INAF) è stato in seguito oggetto di severe critiche: dal punto di vista del metodo, e in particolare della selezione del campione, ma anche – scrive Paolo Attivisssimo sull’ultimo numero del mensile Le Scienze – per alcune controverse scelte editoriali della rivista stessa. Occorre però anche sottolineare che quest’ultimo lavoro, rivista a parte, è alquanto diverso: non si tratta infatti di uno studio osservazionale su un campione per forza di cose limitato, com’è quello degli astronauti, bensì di uno studio sperimentale.
Certo, si tratta di roditori, ma come sottolineano gli autori nel loro articolo, «non ci sono dati che suggeriscano differenze fondamentali fra la risposta alla radiazione cosmica dei neuroni dei roditori rispetto a quelli degli esseri umani». Insomma, mentre gli astronauti che lavorano sulla ISS, anche per lunghi periodi, sono comunque protetti dalla magnetosfera, per le future missioni marziane con equipaggio umano quello dei raggi cosmici è un problema con il quale sarà inevitabile fare i conti.
Soluzioni? Anzitutto si potrebbero prevedere, nelle future astronavi, aree ad alta protezione nelle quali riposare e dormire. Sapendo però che le particelle cariche altamente energetiche riuscirebbero comunque a penetrarvi, e che «non c’è modo di sfuggirgli», dice Limoli. Il suo gruppo, aggiunge, sta però già lavorando anche a possibili strategie farmacologiche potenzialmente in grado di offrire qualche meccanismo preventivo: molecole che potrebbero aiutare a eliminare i radicali liberi e a proteggere i processi di neurotrasmissione.
Per saperne di più:
- Leggi su Scientific Reports lo studio “Cosmic radiation exposure and persistent cognitive dysfunction“, di Vipan K. Parihar, Barrett D. Allen, Chongshan Caressi, Stephanie Kwok, Esther Chu, Katherine K. Tran, Nicole N. Chmielewski, Erich Giedzinski, Munjal M. Acharya, Richard A. Britten, Janet E. Baulch e Charles L. Limoli