Gli astronomi hanno sfruttato l’ALMA (Atacama Large Millimeter/submillimeter Array) dell’ESO per esplorare gli angoli più remoti dell’Universo scoperti per la prima volta nell’immagine ormai famosa del campo ultra-profondo di Hubble (HUDF, da Hubble Ultra Deep Field in inglese). Le nuove osservazioni con ALMA sono molto più profonde e più nitide delle survey precedenti a lunghezze d’onda millimetriche e mostrano chiaramente come il tasso di formazione stellare nelle galassie giovani sia strettamente legato alla loro massa totale sotto forma di stelle. È stato anche possibile tracciare l’abbondanza del gas che serve per la formazione stellare, prima sconosciuta, in diversi intervalli temporali, fornendo nuove informazioni sull'”Età dell’oro” della formazione delle galassie, circa 10 miliardi di anni fa.
I nuovi risultati ottenuti con ALMA verranno pubblicati in una serie di articoli sulle riviste Astrophysical Journal e Monthly Notices of the Royal Astronomical Society. I risultati vengono anche presentati, tra gli altri, durante la conferenza Half a Decade of ALMA che si tiene questa settimana a Palm Springs, California, USA.
Nel 2004 sono state pubblicate le immagini del campo ultra-profondo di Hubble – risultato pionieristico ottenuto con il telescopio spaziale Hubble della NASA/ESA. Queste immagini spettacolari indagavano nel profondo del cielo più di quanto fosse mai stato fatto prima e hanno rivelato una ricca fauna di galassie che risale fino a circa un miliardo di anni dopo il Big Bang. L’area è stata osservata diverse volte da Hubble e da molti altri telescopi, producendo una delle vedute più profonde dell’Universo mai ottenute.
Alcuni astronomi hanno ora osservato con ALMA questa finestra sull’Universo distante, apparentemente insignificante ma diffusamente studiata, per la prima volta in modo sia profondo che preciso nella banda millimetrica. Possiamo così vedere il debole bagliore delle nubi di gas e l’emissione della polvere calda in galassie dell’Universo primordiale. Gli astronomi hanno selezionato proprio l’area dell’HUDF per i loro studi – una regione di spazio nella debole costellazione australe della Fornace – in modo che i telescopi da terra dell’emisfero meridionale, come ALMA, potessero esplorarla facilmente per espandere la nostra conoscenza sull’Universo distante.
Un’equipe di esperti, coordinata da Jim Dunlop (University of Edinburgh, Regno Unito), ha usato ALMA per ottenere la prima immagine omogenea e profonda con ALMA di una regione così grande come è l’HUDF. I dati hanno permesso di abbinare con sicurezza le galassie rivelate con oggetti già visti da Hubble e da altri strumenti. Lo studio ha indicato chiaramente per la prima volta che la massa stellare di una galassia è il migliore indicatore del tasso di formazione stellare nell’Universo ad alto redshift: sono state rivelate sostanzialmente tutte le galassie di alta massa e poco altro.
Jim Dunlop, primo autore dell’articolo sulle immagini profonde, ne indica l’importanza: «È un risultato rivoluzionario. Per la prima volta stiamo collegando adeguatamente le immagini in luce visibile e in luce ultravioletta dell’Universo distante ottenute da Hubble con la nostra veduta nel lontano infrarosso e nella banda millimetrica ottenuta da ALMA».
La seconda equipe, coordinata da Manuel Aravena del Núcleo de Astronomía, Universidad Diego Portales, Santiago, Cile, e da Fabian Walter del Max Planck Institute for Astronomy in Heidelberg, Germania, ha osservato ancora più in profondità su una regione di circa un sesto del totale campo HUDF. La regione di cielo è circa settecento volte più piccola dell’area del disco della Luna piena visto dalla Terra. Uno degli aspetti più strabilianti dell’HUDF era proprio l’enorme numero di galassie trovate in questa minuscola porzione di cielo. «Abbiamo svolto la prima ricerca tridimensionale completamente casuale del gas freddo nell’Universo primordiale», ha commentato Chris Carilli, astronomo al National Radio Astronomy Observatory (NRAO) in Socorro, New Mexico, USA e membro del gruppo di ricerca. «Grazie a questa ricerca abbiamo scoperto una popolazione di galassie che non è evidente in nessun’altra survey profonda del cielo». La capacità di ALMA di vedere una porzione completamente diversa dello spettro elettromagnetico rispetto ad Hubble permette agli astronomi di studiare classi diverse di oggetti astronomici, come le nubi massicce di formazione stellare, e altri oggetti che sono troppo deboli per essere osservati in luce visibile ma sufficientemente brillanti a lunghezze d’onda millimetriche.
Alcune delle nuove osservazioni con ALMA sono state studiate appositamente per rivelare galassie ricche di monossido di carbonio, che indica le regioni pronte per la formazione stellare. Anche se queste riserve di gas molecolare danno origine all’attività di formazione stellare nelle galassie, sono spesso difficili da vedere con Hubble. ALMA perciò può rivelare la “metà mancante” del processo di formazione ed evoluzione delle galassie.
«I nuovi risultati di ALMA implicano un contenuto di gas che cresce rapidamente a mano a mano che guardiamo più lontano nel tempo», ha aggiunto il primo autore di due degli articoli, Manuel Aravena (Núcleo de Astronomía, Universidad Diego Portales, Santiago, Cile). «Questo contenuto di gas sempre in crescita è probabilmente la causa primaria dell’aumento straordinario del tasso di formazione stellare durante l’epoca del picco di formazione delle galassie, circa 10 miliardi di anni fa».
I risultati presentati oggi sono solo l’inizio di una serie di osservazioni future che indagheranno l’Universo distante usando ALMA. Per esempio, una campagna di 150 ore di osservazione dell’HUDF farà nuova luce sulla possibile storia di formazione stellare nell’Universo. «Dando nuova linfa alla nostra comprensione di questo materiale mancante per la formazione stellare, la prossima campagna intensiva con ALMA completerà la nostra veduta delle galassie nel famoso Hubble Ultra Deep Field», ha concluso Fabian Walter.
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Per saperne di più:
- Leggi QUI il comunicato stampa in italiano dell’ESO
- Articolo scientifico 1 (Dunlop, J. S. et al.)
- Articolo scientifico 2 (Aravena, M. et al.)
- Articolo scientifico 3 (Decarli, R. et al.)
- Articolo scientifico 4 (Decarli, R. et al.)
- Articolo scientifico 5 (Aravena, M. et al.)
- Articolo scientifico 6 (Walter, F. et al.)
- Articolo scientifico 7 (Bouwens, R. et al.)
- Articolo scientifico 8 (Carilli, C. L. et al.)