REQUISITI PIÙ SEVERI PER OSPITARE LA VITA

Si fa presto a dire abitabile

Mentre il numero di pianeti “potenzialmente abitabili” aumenta di mese in mese, uno studio pubblicato su Science Advances suggerisce d’andarci cauti, proponendo un critero che tenga conto non solo della distanza dalla stella madre ma anche della temperatura interna iniziale del pianeta

     23/08/2016
Crediti: Michael S. Helfenbein / Yale University

Crediti: Michael S. Helfenbein / Yale University

Per cercare mondi abitabili, la definizione di “zona Goldilocks” comincia a stare un po’ troppo larga. È tempo di prendere in considerazione criteri più restrittivi, propone uno studio uscito su Science Advances firmato da Jun Korenaga, professore di geologia e geofisica alla Yale University.

Per decenni si è ritenuto che il fattore chiave per determinare se un pianeta possa o meno ospitare la vita sia la distanza dalla stella madre. Nel Sistema solare, per esempio, Venere si trova troppo vicino al Sole e Marte troppo lontano, mentre la Terra è alla distanza giusta: orbita in quella che gli scienziati chiamano zona abitabile, o “zona Goldilocks”. Ma si è anche presunto che i pianeti fossero in grado di autoregolare la propria temperatura interna attraverso i movimenti convettivi del mantello –  lo spostamento sotterraneo di rocce causato dal riscaldamento e dal raffreddamento. Un pianeta potrebbe essere inizialmente troppo freddo, o troppo caldo, ma nel lungo periodo si stabilizzerebbe a una temperatura giusta.

Ed è proprio questa seconda supposizione a non trovare riscontro nel quadro teorico messo a punto da Korenaga per spiegare il grado di autoregolazione che ci si può attendere dai moti convettivi del mantello. «Se mettiamo insieme tutti i dati scientifici di cui disponiamo su come la Terra s’è evoluta negli ultimi miliardi di anni e cerchiamo di dar loro un senso, finiremo per renderci conto che la convezione del mantello è abbastanza indifferente alla temperatura interna del pianeta», dice infatti il geofisico di Yale, suggerendo che l’autoregolazione sia improbabile per pianeti simili alla Terra.

«L’assenza del meccanismo d’autoregolazione ha implicazioni enormi per l’abitabilità d’un pianeta», spiega Korenaga. «Gli studi sulla formazione planetaria suggeriscono che nell’evoluzione di pianeti come la Terra giochino un ruolo importante gli impatti, grandi e numerosi, ed è noto che gli esiti d’un processo così casuale possono essere i più diversi».

Ora, in presenza d’un’azione autoregolante dovuta alla convezione del mantello, dice Korenaga, una siffatta varietà in dimensioni e temperatura interna non ostacolerebbe l’evoluzione planetaria. «Quello che diamo per scontato sul nostro pianeta, come per esempio gli oceani e i continenti», aggiunge però Korenaga, «non esisterebbe se la temperatura interna della Terra non fosse stata compresa entro un determinato intervallo. Questo significa che l’inizio della storia della Terra non può essere stato né troppo caldo né troppo freddo».

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