QUESTIONI DI PRIORITÀ SCIENTIFICA

L’ho visto prima Io

Uno studio sulla luna di Giove, del quale avevamo parlato anche su Media INAF, ha sollevato qualche perplessità. Riportiamo le precisazioni inviate alla redazione da Giancarlo Bellucci, dell’INAF IAPS di Roma, e la controreplica di Constantine Tsang, del Southwest Research Institute di Boulder

     10/08/2016
Foto mozzafiato della sonda Cassini, con in primo piano Io e sullo sfondo Giove. Crediti: Image Credit: Cassini Imaging Team, SSI, JPL, ESA, NASA

Foto mozzafiato scattata dalla sonda Cassini, con in primo piano Io e sullo sfondo Giove. Crediti: Image Credit: Cassini Imaging Team, SSI, JPL, ESA, NASA

“Mai prima d’ora era stata possibile un’osservazione diretta dell’atmosfera di Io durante un’eclissi”, si legge nell’abstract di uno studio sul vulcanico Io, il più interno dei satelliti medicei di Giove, guidato da Constantine Tsang del Southwest Research Institute. Studio pubblicato il 2 agosto 2016 sul Journal of Geophysical Research, e del quale abbiamo parlato anche su Media INAF la scorsa settimana.

Un’affermazione che non trova d’accordo Giancarlo Bellucci dell’INAF IAPS di Roma, che ha dunque contattato la nostra redazione per esprimere la sua contrarietà, sottolineando come il fenomeno della condensazione del gas di anidride solforosa (SO2) durante l’eclissi di Io fosse già stato osservato in passato.

«Già nel 2000 avevamo studiato Io in eclissi durante il flyby a Giove della sonda Cassini. Una sonda spaziale offre un punto di vista privilegiato rispetto alle osservazioni da terra. Abbiamo infatti osservato Io durante tutta l’eclissi, che dura circa 2 ore, con angoli di fase variabili da quasi 0 a 120 gradi, cosa impossibile da fare dalla Terra», spiega Bellucci. «Nel 2000, la sonda Cassini diretta a Saturno passò in prossimità di Giove. In quell’occasione abbiamo osservato, tramite lo spettrometro VIMS, l’aumento delle bande di assorbimento caratteristiche del ghiaccio di anidride solforosa all’uscita dall’eclissi, un’indicazione della deposizione di SO2 sulla superficie. Risultati poi raccolti in uno studio pubblicato sulla rivista Icarus nel 2004».

Ed è proprio la mancata citazione di quel lavoro di 12 anni fa che ha sorpreso Bellucci. «Non solo il nostro lavoro è stato ignorato. Consultando la bibliografia dell’articolo, mancano molti studi fatti in passato, indipendentemente dal risultato che hanno ottenuto. Accade spesso, ed è principalmente dovuto al carattere specialistico della scienza».

La rivista sulla quale è stato pubblicato il lavoro di Tsang e colleghi, il Journal of Geophysical Research, è una rivista – come si dice in gergo – “referata”: ovvero, prevede un controllo peer-to-peer da parte di altri studiosi, i referee appunto, prima della pubblicazione. Possibile che nessuno di loro abbia segnalato l’assenza di riferimenti al precedente lavoro? «I referee sono normalmente specialisti di un settore molto ristretto, all’interno di una determinata tematica scientifica. Il nostro lavoro aveva un taglio più osservativo che teorico/modellistico. Se i referee sono dei teorici/modellisti possono non avere una panoramica esaustiva dei lavori osservativi fatti. Penso anche che abbia giocato a favore del lavoro di Tsang et al. il fatto che abbiano osservato a lunghezze d’onda mai esplorate in precedenza, e dove la SO2 ha degli assorbimenti. Questa è indubbiamente una novità», concede Bellucci. «Il fatto che i referee non si siano accorti della mancanza della citazione al nostro articolo dunque non mi sorprende, per i motivi che dicevo prima. Il problema è degli autori che dovevano, secondo me, citare il nostro lavoro».

Quanto a Tsang, interpellato da Media INAF il ricercatore del Southwest Research Institute di Boulder, in Colorado, ha dichiarato di conoscere la pubblicazione di Bellucci e colleghi, ma di non aver ritenuto necessario farvi riferimento. «Ci sono numerose differenze fra ciò di cui ci occupiamo nella nostra ricerca e quanto invece studiava Giancarlo nel suo articolo del 2004. Il loro lavoro considera il ghiaccio di SO2 in superficie, e come esso potrebbe essere all’origine della luminosità di Io nella fase successiva all’eclissi. Il nostro studio, invece», precisa Tsang, «è sull’atmosfera di SO2, non sul ghiaccio in superficie, dunque la nostra affermazione circa il fatto che non ci fossero osservazioni dirette dell’atmosfera di Io durante un’eclissi rimane valida. Certo, il lavoro del 2004 di Bellucci et al. fa parte della storia, dal momento che il ghiaccio potrebbe formare un’atmosfera post-eclissi. Ma per brevità ho deciso, nell’articolo, di non parlare della storia del ghiaccio. Per esempio, esiste un altro valido studio che deriva da quello Bellucci, pubblicato nel 2010 da Cruikshank et al., che pure non ho citato, e che è in disaccordo con quello del 2004».

Per provare a farsi una propria opinione, ecco i link ai due articoli scientifici: