UNO STUDIO TEORICO APPARSO SU MNRAS

Un buco nero primordiale per CR7

CR7 è una galassia a circa 13 miliardi di anni luce da noi, e grazie a uno studio teorico sviluppato da un team di ricercatori statunitensi è stato possibile stabilire che la sua intensa emissione è probabilmente dovuta a un buco nero primordiale al suo centro, formato per collasso diretto. Il commento di Fabrizio Fiore dell’INAF

     08/07/2016
Un’immagine ottenuta da una simulazione al computer dell’ambiente cosmologico in cui il gas primordiale subisce il collasso diretto e diventa un buco nero. Il gas scorre lungo i filamenti di materia oscura, che formano una rete cosmica di collegamento tra le strutture dell’Universo primordiale. Le prime galassie si sono formate nei punti in cui questi filamenti si incontrano. Crediti: Aaron Smith/TACC/UT-Austin

Un’immagine ottenuta da una simulazione al computer dell’ambiente cosmologico in cui il gas primordiale subisce il collasso diretto e diventa un buco nero. Il gas scorre lungo i filamenti di materia oscura, che formano una rete cosmica di collegamento tra le strutture dell’Universo primordiale. Le prime galassie si sono formate nei punti in cui questi filamenti si incontrano. Crediti: Aaron Smith/TACC/UT-Austin

Un team di astronomi statunitensi ha scoperto un insolito buco nero, nato in una fase molto primordiale dell’Universo. Le prove raccolte da Aaron Smith, Volker Bromm e Abraham Loeb dimostrano che l’insolita e intensa radiazione emessa dalla galassia CR7 (di cui avevamo parlato proprio ieri qui su Media INAF) è probabilmente alimentata da un buco nero formato per collasso diretto. L’esistenza di questo tipo di oggetti era stato ipotizzato dai teorici più di un decennio fa. In particolare un gruppo di ricerca guidato dall’astrofisico italiano Andrea Pallottini della Scuola Normale Superiore di Pisa già lo scorso anno aveva proposto un modello per CR7 che ipotizzava un processo di accrescimento su un buco nero massiccio. Un altro gruppo italiano guidato da Fabio Pacucci, sempre della Scuola Normale Superiore, ha recentemente proposto  prove convincenti dell’identificazione di buchi neri formatisi per collasso diretto. I risultati presentati nel lavoro di Smith, Bromm e Loebb e pubblicati sulla rivista Monthly Notices of the Royal Astronomical Society sembrano dunque avvalorare le tesi già proposte dagli astrofisici italiani.

I buchi neri formati per collasso diretto potrebbero rappresentare la soluzione per un mistero di lunga data, per chi si occupa di astronomia: come hanno fatto a formarsi i buchi neri supermassicci nelle prime epoche dell’Universo? Esistono forti evidenze della loro presenza nelle fasi primordiali del cosmo. Ad esempio sono necessari per alimentare i luminosissimi quasar rilevati a grandi distanze. Tuttavia, ci sono diversi ostacoli che si oppongono alla loro formazione, tra cui il fatto che il processo di crescita progressiva sarebbe troppo lento.

Gli astronomi ritengono di avere un quadro piuttosto chiaro di come si possano ottenere buchi neri supermassicci da milioni di soli come quelli scoperti nella maggior parte delle galassie nell’Universo recente. Tutto ha inizio a partire da un singolo buco nero da un centinaio di masse solari, frutto del collasso di una stella estremamente massiccia, che mano a mano attira a sé gas, aumentando così la propria massa, e può fondersi in momenti successivi con altri buchi neri. Tale processo è chiamato accrescimento.

Questa teoria non è in grado di spiegare l’esistenza di buchi neri supermassicci estremamente lontani, e quindi giovani. Le galassie presenti nell’Universo primordiale possono anche aver visto il collasso di stelle, e la formazione di buchi neri, ma non sarebbero in grado di produrre l’intensa emissione osservata dai quasar. Buchi neri di quel tipo non avrebbero gas a sufficienza per alimentarsi, perché sarebbe stato spazzato via dai venti delle stelle di recente formazione.

Nel 2003 Bromm e Loeb hanno avanzato un’ipotesi teorica che permette di ottenere la formazione di un buco nero supermassiccio in una galassia primordiale. Più tardi questo processo è stato soprannominato “collasso diretto”.

«Si inizia da una nube primordiale di idrogeno ed elio, immersa in un mare di radiazione ultravioletta», spiega Bromm. «Si comprime la nube grazie al campo gravitazionale di un alone di materia oscura. Normalmente la nube si raffredderebbe, e si dividerebbe in frammenti formando le stelle, ma in questo caso la luce ultravioletta mantiene caldo il gas, impedendo la formazione stellare. Queste sono le condizioni necessarie alla formazione del buco nero primordiale: un collasso senza frammentazione».

Questo insieme di condizioni è strettamente legato al periodo storico che corrisponde all’Universo primordiale. Lo stesso processo non può avvenire nell’Universo vicino e recente.

«I quasar osservati nell’Universo primordiale assomigliano a bambini giganti in una sala parto piena di neonati normali», dice Loeb. «Viene da chiedersi: che cosa c’è di speciale nell’ambiente che ha permesso a questi bambini giganti di nascere? Di solito il serbatoio di gas freddo delle galassie vicine si consuma attraverso la formazione di stelle, proprio come accade nella Via Lattea.

«Il modello che abbiamo proposto insieme a Bromm suggerisce che le condizioni incontrate dalla prima generazione di galassie erano profondamente diverse: invece di formare molte stelle normali, queste galassie formavano un’unica stella supermassiccia al proprio centro, che ha finito per collassare diventando un buco nero».

La galassia CR7 osservata dal telescopio Subaru.

La galassia CR7 osservata dal telescopio Subaru.

A distanza di una decina di anni dallo sviluppo di quella teoria, Bromm e Loeb, insieme al collega Aaron Smith, si sono interessati alla galassia chiamata CR7, identificata durante la campagna osservativa COSMOS realizzata con il telescopio spaziale Hubble.

Grazie a una serie di osservazioni effettuate con i più grandi telescopi terrestri, tra cui Keck e VLT, è stato possibile scoprire alcune caratteristiche insolite di CR7, come ad esempio l’intensa luminosità di alcune righe spettrali dell’idrogeno chiamate Lyman-alpha. Inoltre, lo spettro di CR7 ha mostrato anche una linea di elio sorprendentemente brillante. «Qualsiasi sia la fonte di questa intensa luminosità è abbastanza calda da ionizzare l’elio», dice Smith.

Queste ed altre caratteristiche inusuali dello spettro, come ad esempio l’assenza di linee riconducibili ad elementi più pesanti dell’elio, i cosiddetti “metalli” in gergo astronomico, insieme alla grande distanza della sorgente, hanno fatto sì che si iniziasse a pensare ad un ammasso di stelle primordiali o a un buco nero supermassiccio formato da collasso diretto.

Smith ha quindi elaborato delle simulazioni al computer per modellare entrambi gli scenari, e dopo lunghe e complesse elaborazioni è stato possibile dimostrare che lo scenario dell’ammasso stellare falliva in modo palese, mentre il collasso diretto del buco nero dava buoni risultati.

«Con CR7 abbiamo ottenuto dati estremamente interessanti», dice Bromm. «Ora stiamo cercando di spiegarli, e di prevedere cosa potranno trovare osservazioni future. Vogliamo fornire alla comunità un quadro teorico completo».

« Nel loro lavoro gli autori sviluppano un modello dettagliato (idrodinamico con trasporto radiativo) per cercare di capire se le proprietà osservative di CR7 possono essere spiegate da un ammasso di stelle di popolazione III, oppure da accrescimento su un buco nero massiccio» commenta Fabrizio Fiore, direttore dell’INAF-Osservatorio Astronomico di Roma. «Dicono di preferire il secondo, soprattutto per via del livello di ionizzazione del gas che implica l’osservazione di una riga molto forte dell’elio ionizzato, e per la possibile presenza di un outflow spinto da una sorgente centrale. Ovviamente, non è possibile dire che “è stato osservato un DCBH”, ma solamente che è plausibile interpretare le osservazioni disponibili di CR7 in termini di DCBH. Per ottenere prove più certe dovremmo essere sicuri che la radiazione emessa sia effettivamente prodotta da accrescimento su un buco nero massiccio. Una maniera per farlo è osservare radiazione nella banda dei reggi X. CR7 cade nel campo COSMOS, che è stato osservato dagli osservatori spaziali nelle alte energie Chandra e XMM-Newton. In queste osservazioni CR7 non è rivelata, a un limite di circa 1044 erg/s. Le osservazioni pero’ non sono molto profonde: per confronto, raggiungono flussi limite circa 20 volte maggiori che le osservazioni di Chandra nel Chandra Deep Field South (CDFS). Quindi in linea  di principio è anche possibile migliorare i limiti presenti con nuove osservazioni di Chandra. Altrimenti sarà possibile farlo nel futuro con ATHENA, il prossimo osservatorio spaziale per le alte energie che verrà realizzato e messo in orbita dall’ESA».

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