ALL’ORIGINE DELLE ULX

Piccoli mostri affamati nell’universo vicino

Le osservazioni effettuate con il telescopio Subaru da un team di scienziati Russi e Giapponesi ci aiutano a far luce sulla natura della classe di sorgenti nota come ultra-luminous X-ray sources, sistemi binari che sembrano ospitare buchi neri molto più piccoli del previsto. I risultati migliorano la nostra comprensione sulla formazione dei buchi neri supermassicci e sul meccanismo di caduta della materia su questi oggetti

     30/06/2015

Utilizzando il telescopio Subaru, un gruppo di ricercatori presso lo Special Astrophysical Observatory in Russia e la Kyoto University in Giappone ha dimostrato che le sorgenti enigmatiche chiamate ultra-luminous X-ray sources (ULX, letteralmente “sorgenti di raggi X ultra-luminose”) presentano forti emissioni generate dalla caduta di materia sui loro buchi neri a tassi inaspettatamente alti. Le intense emissioni osservate suggeriscono che le dimensioni dei buchi neri presenti in queste ULX debbano essere molto più piccole del previsto. Curiosamente, questi oggetti sembrano essere “cugini” di SS433, un sistema binario che emette nei raggi X e che è noto per essere uno degli oggetti più esotici nella Via Lattea. Le osservazioni effettuate dal team ci aiutano a far luce sulla natura delle ULX, e a migliorare la nostra comprensione sulla formazione dei buchi neri supermassicci e sul meccanismo di caduta della materia su questi oggetti.

Osservando le galassie vicine a noi nella banda dei raggi X è stato possibile rivelare queste fonti eccezionalmente luminose che irradiano un’energia milioni di volte superiore a quella del Sole. Le origini delle ULX sono state per molto tempo oggetto di dibattito. L’idea di base è che una ULX sia un sistema binario costituito da un buco nero e una stella compagna. Con la caduta del materiale proveniente dalla compagna verso il buco nero, si ha la formazione di un disco di accrescimento. L’energia gravitazionale del materiale in caduta viene rilasciata e la parte più interna del disco si riscalda a temperature superiori a 10 milioni di gradi, inducendo l’intensa emissione nei raggi X.

La domanda a cui non siamo ancora in grado di rispondere è: a quanto ammonta la massa del buco nero all’interno di questi sistemi? Le ULX hanno generalmente una luminosità oltre un centinaio di volte più intensa di quella osservata nei “canonici” sistemi binari che ospitano buchi neri presenti all’interno della nostra Via Lattea. Per questi oggetti, visibili nel nostro vicinato, sappiamo che il buco nero può contenere una massa pari al massimo a 20 volte quella del Sole

Sono stati proposti due diversi scenari per spiegare la natura di questi oggetti. La prima ipotesi prevede che le ULX contengano buchi neri un migliaio di volte più massicci del Sole. In genere i buchi neri con masse che vanno da 100 a 100.000 volte quella del Sole sono chiamati buchi neri di massa intermedia, anche se non esiste una definizione rigorosa per l’intervallo di massa. Una seconda ipotesi suggerisce che si tratti di buchi neri relativamente piccoli, “piccoli mostri” con masse non più di un centinaio di volte quella del Sole, che brillano a luminosità maggiori dei limiti teorici per accrescimento standard, chiamato “accrescimento supercritico” (o super-Eddington). Nel caso di una simmetria sferica la materia non può cadere su un oggetto centrale quando la pressione di radiazione emessa dall’oggetto supera la forza di gravità della materia in caduta. Questa luminosità è detta limite di Eddington, ed è proporzionale alla massa dell’oggetto centrale. Quando la materia accresce a tassi più elevati rispetto al limite di Eddington, si parla di accrescimento supercritico (o super-Eddington). Quando si ha a che fare con una geometria non sferica, come quella di un disco di accrescimento, si può verificare un accrescimento supercritico, e ci aspettiamo di osservare un’intensa emissione dovuta al vento del disco.

Immagine ottica della ULX "X-1" (indicata dalla freccia) nella galassia nana Holmberg II, che si trova in direzione della costellazione dell'Orsa Maggiore, ad una distanza di 11 milioni di anni luce. Il colore rosso rappresenta l'emissione dovuta alla riga spettrale emessa dagli atomi di idrogeno. Crediti: Special Astrophysical Observatory/Hubble Space Telescope

Immagine ottica della ULX “X-1” (indicata dalla freccia) nella galassia Holmberg II, che si trova in direzione della costellazione dell’Orsa Maggiore, ad una distanza di 11 milioni di anni luce. Il colore rosso rappresenta l’emissione dovuta alla riga spettrale emessa dagli atomi di idrogeno. Crediti: Special Astrophysical Observatory/Hubble Space Telescope

Per capire quale scenario spieghi più efficacemente il comportamento delle ULX, i ricercatori hanno concentrato le loro osservazioni su quattro oggetti: Holmberg II X-1, Holmberg IX X-1, NGC 4559 X-7 e NGC 5204 X-1, ottenendo spettri ad alta risoluzione di queste sorgenti con lo strumento FOCAS del telescopio Subaru. Nell’immagine in alto è possibile vedere un’immagine della galassia Holmberg II raccolta dall’Hubble Space Telescope. L’oggetto X-1 indicato dalla freccia è circondato da una nebulosa di colore rosso, che con tutta probabilità è composta dal gas riscaldato dalla forte radiazione della ULX.

Spettri ottici delle quattro ULX osservate con il telescopio Subaru (da sopra a sotto: Holmberg II X-1, Holmberg IX X-1, NGC 4559 X-7, NGC 5204 X-1). He II e Hα indicano rispettivamente le righe spettrali degli ioni di elio e degli atomi di idrogeno. Crediti: Kyoto University

Spettri ottici delle quattro ULX osservate con il telescopio Subaru (da sopra a sotto: Holmberg II X-1, Holmberg IX X-1, NGC 4559 X-7, NGC 5204 X-1). He II e Hα indicano rispettivamente le righe spettrali degli ioni di elio e degli atomi di idrogeno. Crediti: Kyoto University

Il team di scienziati ha scoperto una caratteristica importante presente negli spettri ottici di tutte le ULX osservate. Si tratta di una linea di emissione larga dovuta a ioni di elio, che indica la presenza di gas riscaldato a temperature di diverse decine di migliaia di gradi. Inoltre, hanno scoperto che la larghezza della linea dell’idrogeno, che viene emesso da gas a temperature inferiori, pari a circa 10.000° K, è più ampia rispetto a quella dell’elio. La larghezza di una riga spettrale viene prodotta per effetto Doppler ed è causata dalla dispersione di velocità delle molecole di gas predenti nel disco. I risultati suggeriscono che il gas debba essere accelerato verso l’esterno, con un vento proveniente dal disco o dalla stella compagna, e che si stia raffreddando mentre si allontana.

Il comportamento di queste ULX è molto simile a quello di un oggetto peculiare della nostra Galassia: SS433. Gli scienziati hanno notato che le stesse linee di emissione si osservano anche in questo misterioso oggetto, un sistema binario stretto costituito da una stella di tipo A e molto probabilmente un buco nero con una massa inferiore a 10 volte quella del Sole. SS433 è una sorgente famosa per i suoi jet persistenti, con velocità pari a 0.26 volte la velocità della luce e per il suo tasso di accrescimento supercritico.

Dopo aver esaminato attentamente diverse possibilità, il team ha concluso che l’ipotesi più probabile sia quella che prevede enormi quantità di gas che cadono rapidamente su buchi neri di massa relativamente piccola presenti all’interno di ciascuna di queste ULX. Tale caduta produrrebbe un denso vento da disco che si allontana dalla regione di accrescimento supercritico. Gli scienziati suggeriscono che le ULX con luminosità pari a milioni di volte quella del Sole debbano appartenere ad una classe omogenea di oggetti, e che SS433 sia un esemplare estremo di questa famiglia. In questi sistemi, anche se il buco nero di piccole dimensioni, la caduta del gas sul disco a grandi velocità provoca emissioni di raggi X molto intense.

Immagine schematica delle ULX (guardando il sistema dall'alto) e di SS433 (con l'osservatore dal lato sinistro). Crediti: Kyoto University

Immagine schematica delle ULX (guardando il sistema dall’alto) e di SS433 (con l’osservatore dal lato sinistro). Crediti: Kyoto University

Nell’immagine accanto si vede una rappresentazione schematica delle ULXs e di SS433. Se il sistema viene osservato da una direzione verticale, si vedrà la parte centrale del disco di accrescimento emettere intensi raggi X. Se SS433 venisse osservata nella stessa direzione, sarebbe la sorgente di raggi X più luminosa della Via Lattea. Ciò che accade, in realtà, è che SS433 si mostra a noi quasi lungo il piano del disco, e quindi la nostra visione del disco interno è bloccata dal disco esterno. Il tasso di accrescimento dedotto per SS433 è molto maggiore rispetto a quello delle ULX, il che potrebbe spiegare la presenza di getti persistenti per questa peculiare sorgente.

L’accrescimento supercritico potrebbe garantire la formazione dei buchi neri supermassicci al centro delle galassie in intervalli temporali molto brevi (i tempi brevi sono resi necessari dal fatto che tali oggetti si osservano in epoche cosmiche molto antiche). La scoperta di questi fenomeni nell’universo vicino ha un forte impatto sulla nostra comprensione circa la formazione e i meccanismi di emissione dei buchi neri supermassicci.

Rimangono ancora alcune questioni in sospeso: quali sono gli intervalli di massa tipici dei buchi neri nelle ULX? Sotto quali condizioni possono formarsi e rimanere stabili dei getti di materia barionica come quelli osservati in SS433? Il dottor Yoshihiro Ueda, membro del team, esprime il suo entusiasmo per il futuro della ricerca in questo settore: «Vogliamo cercare una risposta a queste domande osservano le ULX e SS433 con ASTRO-H, un telescopio a raggi X che verrà lanciato all’inizio del prossimo anno, e con future missioni ad alte energie ancora più sensibili. Ci proponiamo inoltre di accostare queste informazioni a quelle raccolte ad altre lunghezze d’onda, per ottenere un quadro d’insieme completo di questi sistemi».