IL MISTERO DEI SISTEMI SFEROIDALI COMPATTI

Dinosauri galattici

Astronomi australiani ritengono di aver risolto uno dei misteri dell’evoluzione galattica che riguarda il destino delle galassie massive e compatte che erano presenti nell'Universo primordiale. Una analisi accurata delle componenti galattiche ha permesso di identificare la popolazione mancante associata ai sistemi sferoidali compatti eliminando così alcune problematiche che derivano dai modelli del merging galattico. I risultati su Astrophysical Journal

     04/03/2015

Un gruppo di astronomi della Swinburne University of Technology in Australia ritengono di aver trovato la risposta ad uno dei misteri più grandi dell’evoluzione galattica che riguarda il destino delle galassie massive e compatte che erano presenti durante le fasi primordiali della storia cosmica. Dopo aver ‘sezionato’ un insieme di galassie (tra lenticolari e spirali), i ricercatori sono stati in grado di individuare la popolazione mancante relativa a quei sistemi sferoidali compatti eliminando così alcune problematiche che derivano dai modelli del merging galattico.

La galassia NGC 1332 nell’immagine di Spitzer/IRAC, ripresa nel vicino infrarosso, parte del campione di oggetti analizzati nel presente studio. Courtesy: G. Savorgnan

«Abbiamo voluto affrontare uno dei più grandi enigmi dell’evoluzione delle galassie, un mistero rimasto inspiegabile per un decennio», spiega a Media INAF Alister Graham professore di astronomia alla Swinburne University e autore principale dello studio accettato per la pubblicazione su Astrophysical Journal. «Poiché la luce impiega un tempo finito per propagarsi nello spazio, noi vediamo queste galassie distanti così come apparivano nell’Universo delle origini. Gli scienziati hanno cercato di spiegare come le galassie distanti sferoidali, sia compatte che non compatte, si sono evolute verso una morfologia più complessa che vediamo oggi. Nell’Universo vicino, invece, osserviamo molte galassie sferoidali (ellittiche) non compatte, ma fino ad oggi ci sono sfuggite le galassie sferoidali compatte».

Secondo la teoria più comunemente accettata, la fusione (merging) delle galassie avrebbe portato alla loro distruzione trasformandole in galassie ellittiche più grandi. Tuttavia, non ci sono state collisioni galattiche sufficienti per tener conto della scarsità di questi sistemi sferoidali compatti. Gli astronomi hanno perciò eliminato le problematiche che emergono con la teoria poiché essi ritengono di aver identificato le galassie mancanti.

«Si nascondono alla vista», dice Bililign Dullo co-autore della ricerca. «Gli sferoidi sono mascherati dai dischi di stelle che si sono formate dall’accrescimento del gas idrogeno e da galassie più piccole nel corso di un tempo molto lungo». In più, il numero di questi sistemi stellari nascosti è all’incirca eguale al numero delle galassie massive compatte dell’Universo primordiale. «A differenza dei grandi dinosauri che sono esistiti quando la Terra era ancora giovane, i ‘dinosauri galattici’ del nostro Universo non si sono estinti», aggiunge Graham. «Sono semplicemente incorporati in enormi dischi di stelle relativamente sottili».

Immagine di Hubble della galassia NGC 1277 composta principalmente da uno sferoide e un disco che fa parte del campione di oggetti analizzati nel presente studio. Courtesy: G. Savorgnan

A causa dell’enormità delle moderne survey galattiche, è diventata prassi comune trattare le galassie come singole entità. Ora, grazie ad una analisi più attenta delle singole componenti delle galassie a disco (lenticolari e spirali), cioè lo sferoide più interno e il disco più esterno, i ricercatori hanno potuto svelare la popolazione locale di sferoidi compatti discendente dalla popolazione primordiale.  Ma cosa implica tutto questo in termini dell’evoluzione galattica? Media INAF lo ha chiesto a Giulia Savorgnan studentessa di dottorato alla Swinburne University e co-autrice del lavoro: «Le galassie, un pò come gli esseri umani, attraversano fasi molto diverse durante la loro vita. Quando osserviamo le galassie molto lontane, le vediamo come apparivano durante la loro ‘gioventù’. A quelle epoche esse si presentavano come oggetti sferoidali, abbastanza semplici. Però, con il passare del tempo si sono evolute in oggetti più complicati. Molte di esse hanno formato un disco intorno allo sferoide e in alcune galassie sono nate strutture complesse che noi astronomi chiamiamo barre, dischi interni, braccia a spirale e così via. La mia analisi permette di scomporre le galassie più ‘anziane’ (cioè quelle più vicine a noi) nelle loro diverse costituenti, come se fossero dei ‘mattoncini Lego’. In questo modo, posso studiare le singole componenti e capire i diversi meccanismi di formazione di ciascun ‘mattoncino’. In altre parole, noi le abbiamo semplicemente ‘sezionate’ anziché considerarle come singoli oggetti e ciò spiega il perché sono state perse. Questo tipo di analisi si chiama ‘galaxy decomposition‘ mentre io l’ho ribattezzata ‘galaxy vivisection‘».

Tornando più vicini a casa, secondo gli autori anche lo sferoide centrale della nostra Via Lattea sembra essere esistito, almeno in parte, quando l’Universo era ancora giovane. Sappiamo che alcune stelle hanno 12 miliardi di anni, non molto più giovani dell’età attuale dell’Universo. La domanda a cui occorrerà rispondere è quale parte del bulge galattico si è successivamente formata mediante altri processi.

«E’ un piacere vedere che il collega Alister Graham non perde l’occasione per dimostrare le sue capacità di ricercatore, sapendo di andare anche contro corrente», commenta Mauro D’Onofrio del Dipartimento di Fisica e Astronomia dell’Università di Padova e INAF. «In questo bel lavoro Alister e il suo gruppo affrontano uno dei temi di ricerca più dibattuti degli ultimi anni: l’evoluzione morfologica e strutturale delle galassie. Da quando sono state scoperte galassie di tipo early-type ad alto redshift (cioè oggetti che a basso redshift chiamiamo con il nome di galassie Ellittiche ed S0) con masse ragguardevoli e raggi effettivi (dimensioni)  molto piccoli rispetto a quelli comunemente osservati nelle galassie vicine (cioè oggetti particolarmente densi), si è aperto un vasto dibattito sulle possibili cause della loro evoluzione strutturale e morfologica. Sono questi i progenitori delle galassie Ellittiche ed S0 che vediamo oggi? Se si, quali fenomeni fisici hanno determinato la loro crescita di volume? Molti gruppi di scienziati da tutto il mondo si sono cimentati con questo problema con risultati contrastanti, sicché il dibattito è tutt’altro che
concluso. E’ bello vedere quindi che emergono nuove idee che possono spiegare i fatti osservati in modo diverso. In questo lavoro il gruppo di Alister sovverte le spiegazioni standard del fenomeno, sostenendo che quelle galassie sferoidali di piccolo raggio che si vedono ad alto redshift, possono benissimo essere sotto i nostri occhi anche nell’Universo locale. Analizzando la frequenza e le proprietà dei bulge delle galassie a disco vicine, Alister osserva che questi sferoidi stellari potrebbero benissimo essere gli stessi oggetti che vediamo ad alto redshift. Di fatto non si tratterebbe quindi di oggetti che evolvono nelle loro dimensioni, ma di oggetti che nel tempo formano attorno a sé un disco stellare. Vedremo come sarà accolto questo lavoro contro corrente dal resto della comunità scientifica. Di certo posso dire che si tratta di un’idea interessante che potrebbe mettere in crisi persino la visione cosmologica standard che è oggi dominante. Staremo dunque a vedere».


arXiv: Hiding in plain sight: An abundance of compact massive spheroids in the local Universe