Il mistero inizia nello spazio interstellare, cioè nell’immenso spazio vuoto che esiste tra le stelle, dove sono presenti enormi nubi molecolari, composte principalmente di idrogeno, la cui massa può raggiungere migliaia se non milioni di volte la massa del Sole. Queste nubi alla fine condensano e danno luogo alla nascita di nuove stelle. Fin qui nulla di strano. Tuttavia, ciò che lascia perplessi gli astronomi, sin già dagli anni ’70, è il fatto che solo una minima frazione della materia delle nubi molecolari si trasforma per creare una stella. «L’attività stellare, gli effetti collettivi dovuti alle supernovae, la radiazione, il calore, la presenza del gas e i venti stellari possono regolare l’evoluzione delle galassie e spiegare come mai queste strutture hanno trasformato così poco gas presente nelle stelle», spiega Philip Hopkins, astrofisico del CalTech che ha guidato uno studio su questo aspetto della formazione stellare.
Al contrario, le previsioni che sono state ottenute con le migliori simulazioni numeriche realizzate in precedenza indicano che tutta la materia della nube molecolare collassa formando la stella. «È ciò che stavamo cercando di capire, per la prima volta, mettendo nelle nostre simulazioni le leggi della fisica che riguardano quello che sappiamo delle stelle e del gas circostante», continua Hopkins.
Per risolvere il mistero, gli scienziati hanno istituito una collaborazione a cui hanno partecipato i ricercatori del CalTech, delle tre Università della California a Berkely, a San Diego e a Irvine, della Northwestern University e dell’Università di Toronto. Le simulazioni numeriche delle galassie da loro condotte sono state realizzate facendo uso del supercomputer Stampede del Texas Advanced Computing Center (TACC), una risorsa dell’ Extreme Science and Engineering Discovery Environment-allocated (XSEDE) finanziata dalla National Science Foundation. I ricercatori hanno prodotto un nuovo insieme di modelli numerici di galassie denominato FIRE, che sta per Feedback in Realistic Environments, concentrando la potenza di calcolo su scale cosmologiche di dimensioni pari ad appena qualche anno luce. «Abbiamo iniziato a simulare singole stelle in piccole regioni della galassia, dove siamo in grado di seguire ogni singola esplosione stellare», dice Hopkins. «Ciò permette di costruire un modello che viene poi inserito, di volta in volta, in una simulazione relativa ad un’intera galassia. Quindi, si realizzano varie simulazioni di un singolo pezzo di universo e si continua a procedere in questo modo».
Hopkins ha sviluppato il codice in locale su un cluster del CalTech mentre il supercomputer Stampede ha fatto la parte del leone. «Quasi tutte le simulazioni sono state eseguite sulle risorse XSEDE», dice Hopkins. «In particolare, il supercomputer Stampede si è dimostrato veramente una macchina ideale ed è stato molto veloce, avendo una grande memoria di calcolo condivisa con tanti processori. Inoltre, anche i tempi di calcolo sono stati decisamente inferiori di quanto avevamo inizialmente previsto e grazie ad una serie di ottimizzazioni siamo stati in grado di far girare le simulazioni su migliaia di CPU alla volta, un record per un problema astrofisico di questo tipo».
Il realismo raggiunto dalle simulazioni FIRE ha sorpreso lo stesso Hopkins. In passato, alcuni modelli relativi alle esplosioni stellari e ai meccanismi di interazione tra radiazione e gas richiedevano dopo ogni calcolo una serie di correzioni manuali del modello. «Il momento più sbalorditivo», dice Hopkins, «fu quando decidemmo di inserire la fisica che pensavamo fosse mancata nei modelli precedenti. Infatti, una volta eseguita la simulazione osservammo alla fine che avevamo creato una ‘galassia reale’ in cui solo qualche percentuale di materiale era stato trasformato in stelle anzichè tutta la materia come si pensava in precedenza».
Insomma, FIRE ha permesso di ricreare al computer le galassie tipicamente più piccole e ora Hopkins vuole consolidare il suo successo. «Adesso vogliamo esplorare i casi più strani, cioè studiare quelle galassie che hanno in qualche modo dimensioni o masse insolite», conclude Hopkins. Non solo, ma il passo successivo sarà quello di simulare quelle galassie più grandi che contengono un buco nero supermassiccio nel loro nucleo, come la nostra Via Lattea.
arXiv: Neutral hydrogen in galaxy halos at the peak of the cosmic star formation history