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Una nuova luce sull’evoluzione delle galassie

Sette anni di lavoro per studiare nel dettaglio l'ammasso di galassie JKCS 041, a ben 10 miliardi di anni-luce di distanza. I risultati del lavoro, guidato da Stefano Andreon (INAF) getta nuova luce sull’evoluzione delle galassie

     21/05/2014
L'ammasso di galassie JKCS 041. Crediti: Stefano Andreon

L’ammasso di galassie JKCS 041 visto nell’infrarosso dal telescopio spaziale Hubble. L’immagine in tricomia è di 2.5×1.5 arcmin. Crediti: Stefano Andreon

Ci sono voluti sette anni di lavoro per studiare nel dettaglio e approfonditamente  un ammasso di galassie a ben 10 miliardi di anni-luce di distanza, ma alla fine ne è valsa la pena. JKCS 041, così è denominato l’ammasso di galassie, si trova a redshift 1.803 e il suo studio getta nuova luce sull’evoluzione delle galassie.

La misura precisa della distanza di JKCS 041 è stata fatta dal team guidato da Andrew Newman del Carnegie Institution for Science grazie a osservazioni ottenute con il telescopio spaziale Hubble (NASA/ESA) e in corso di pubblicazione in un articolo su The Astrophysical Journal. Sulla base degli stessi dati è stata condotta una ricerca, guidata da Stefano Andreon (INAF – Osservatorio Astronomico di Brera) e collaboratori, che confronta le proprietà delle galassie di JKCS 041, un ammasso che appartiene a un universo ancora molto giovane, con quelle degli ammassi molto più vecchi che si trovano nell’Universo più vicino a noi e con quelle di galassie allo stesso redshift, e quindi nello stesso Universo giovane, ma che si trovano in ambienti meno densi. Con risultati sorprendenti, come si può capire da quanto viene pubblicato nell’articolo in uscita su Astronomy & Astrophysics.

“Dopo sette anni di perseveranza, siamo finalmente riusciti ad avere una visione senza precedenti di un ammasso ad altissimo redshift, identificando uno ad uno i membri dell’ammasso, distinguendoli dalle numerose galassie che cadono lungo la linea di vista, il sogno di molti astronomi” commenta Stefano Andreon. Infatti il redshift z=1.8 rappresenta  un momento critico nella storia di formazione delle galassie: quando, circa 10 miliardi di anni fa, le galassie in ambienti ancora poco affollati stanno crescendo in dimensioni a un ritmo a dir poco tumultuoso.

“Malgrado l’ammasso fosse già stato identificato nel 2006 e fin dal 2009 fosse già stata stabilita la presenza di gas caldo a 80 milioni di gradi, l’identificazione completa dei componenti dell’ammasso ha richiesto le osservazioni spettroscopiche del Telescopio Spaziale”, commenta Ginevra Trinchieri dell’INAF-Osservatorio Astronomico di Brera. “E le osservazioni ad altissima risoluzione angolare ci hanno permesso di misurare anche le dimensioni delle galassie”.

L’unicità, ricchezza, e completezza dei dati raccolti rendono perciò JKCS 041 un oggetto chiave per gettare luce sull’evoluzione delle galassie. Le osservazioni di JKCS 041, che si riferiscono a un’epoca in cui l’Universo aveva solo 3 miliardi di anni, mostrano che le galassie di cui è formato hanno già raggiunto dimensioni e masse simili a quelle delle galassie degli ammassi dell’Universo locale. “Sorprendentemente però l’ambiente in cui le galassie vivono e crescono sembra avere poca influenza su quando le galassie smettono di formare stelle” aggiunge Andrew Newman del Carnegie Institution for Science. Questo significa che la densità locale di galassie non gioca un ruolo dominante nel determinare quando le galassie esauriscono il combustibile per formare nuove stelle. “La densità locale di galassie determina invece la frazione di galassie che non formano più nuove stelle, chiamate per questo quiescenti: infatti i dati mostrano che tra le galassie di campo, ossia in ambienti ben poco densi di galassie, la frazione di quelle quiescenti è metà di quelle in ammasso”, aggiunge Stefano.

Il quadro ci offre informazioni inedite su un periodo della storia dell’universo che ignoriamo quasi completamente. Allo stesso tempo, come mettono in evidenza i due articoli citati, bisogna riconoscere che si tratta di un quadro assai complesso, dovuto anche all’enorme ricchezza dei dettagli osservativi raccolti, confrontabili, per la prima volta, a quella di ammassi dell’universo vicino come Coma.

Del resto siamo solo all’inizio…

 

NOTA: JKCS 041 non è solo una sigla ma un codice nel quale un astronomo può leggervi tante cose: per esempio che le ragioni della sua prima identificazione (S nel nome, per selezione) nel cielo è stato proprio il colore (C nel nome) nelle bande infrarosse J e K (ossia JKCS).

Per saperne di più:

  • l’articolo JKCS 041: a Coma cluster progenitor at z = 1.803 di Stefano Andreon et al. pubblicato on line sul sito della rivista Astronomy & Astrophysics
  • l’articolo Spectroscopic Confirmation of the Rich z=1.80 Galaxy Cluster JKCS 041 Using the WFC3 Grism: Environmental Trends in the Ages and Structure of Quiescent Galaxies di Andrew Newman et al. in corso di pubblicazione sulla rivista The Astrophysical Journal