LA GALASSIA FOSSILE CHE PARLA DEL PASSATO

Un reperto archeologico nell’Universo

Un articolo pubblicato su Astrophysical Journal svela l’importanza di Segue 1, galassia fossile lontana e composta da pochissime stelle. L’ipotesi è che la sua formazione stellare potrebbe dirci molte cose sull’evoluzione dell’Universo primordiale, aprendo addirittura la strada a nuovi processi prima sconosciuti

     02/05/2014
Il Telescopio Magellano in Cile, dove sono state condotte molte delle osservazioni sulla galassia Segue 1. Crediti: Anna Frebel

Il Telescopio Magellano in Cile, dove sono state condotte molte delle osservazioni sulla galassia Segue 1. Crediti: Anna Frebel

“Questa galassia non ha mai prodotto tante stelle. È davvero rammollita”. Lo dice la fisica del MIT Anna Frebel e il nomignolo che usa è affettuoso, quasi familiare: sta parlando della “sua” galassia, protagonista di un articolo appena pubblicato su Astrophysical Journal.

La sfaticata in questione è Segue 1, la galassia fossile più debole mai rilevata ai confini dell’Universo. Scoperta nel 2006 dallo Sloan Digital Sky Survey (SDSS), ha fin da subito attirato l’attenzione degli astrofisici. Soprattutto per l’apparente contrasto tra la scarsità di stelle che la compongono e l’enorme massa che invece complessivamente contiene: in tutto Segue 1 conta non più di 1.000 stelle (contro i centinaia di miliardi che si pensa formino la nostra Via Lattea), ma è almeno 3.000 volte più pesante di quel che dovrebbe.

Questa contraddizione, scoperta per la prima volta nel 2011, ha fatto avanzare l’ipotesi che Segue 1 fosse costituita in gran parte da materia oscura: la misteriosa componente dell’Universo che si manifesta attraverso i suoi effetti gravitazionali, senza essere direttamente osservabile.

Ma il fascino di questa piccola galassia non finisce qui: alcune delle sue stelle mostrano una singolare proprietà, una composizione quasi esclusivamente a base di idrogeno ed elio. Ovvero, gli elementi più primordiali che si pensa abbiano dato origine all’Universo dopo il Big Bang.

È proprio questo l’aspetto indagato dal gruppo di ricerca di Anna Frebel, che dopo un’analisi dettagliata della composizione chimica di alcune stelle di Segue 1 ha confermato la quasi totale assenza di elementi più pesanti dell’elio.

A sinistra, Segue 1 (la galassia non è visibile); a destra, le stelle che fanno parte di Segue 1 (cerchiate). Crediti: Marla Geha Yale University

A sinistra, Segue 1 (la galassia non è visibile); a destra, le stelle che fanno parte di Segue 1 (cerchiate). Crediti: Marla Geha Yale University

Su Media INAF ne avevamo già parlato il mese scorso, quando lo studio di Frebel e colleghi era stato accettato per la pubblicazione da Astrophysical Journal; ora che l’articolo è uscito si aprono nuove ipotesi sull’importanza che Segue 1 potrebbe avere nella comprensione dell’Universo giovane.

In particolare, ciò che emerge è una mancata evoluzione di questa galassia. Di solito le stelle si formano da nubi di gas all’interno delle galassie, per poi esplodere dopo miliardi di anni in supernovae e gettare così le basi per la formazione di nuove stelle. Non Segue 1: a differenza di tutte le altre galassie conosciute, il suo processo di formazione stellare si è come congelato, fermandosi ai primissimi stadi di sviluppo.

“Chimicamente, Segue 1 è abbastanza primitiva” spiega Anna Frebel. “Ha provato a diventare una grande galassia, ma ha fallito”.

Ma proprio questo “fallimento” costituisce ora una miniera d’oro di informazioni: dal momento che Segue 1 è rimasta quasi nello stesso stato per miliardi di anni, ci offre informazioni preziosissime sulle condizioni dell’Universo nelle prime fasi dopo il Big Bang.

“Ci dice come le galassie sono cominciate” continua la ricercatrice. “Aggiunge letteralmente un’altra dimensione all’archeologia stellare, dove guardiamo indietro nel tempo per studiare l’era della formazione delle prime stelle”.

Adesso l’obiettivo diventa ampliare il quadro fornito da questo raro reperto archeologico dell’Universo. La scoperta sulla composizione di Segue 1 potrebbe infatti implicare che nella formazione delle galassie esistono più sentieri evolutivi diversi di quello che si pensava.

“Avremmo bisogno di trovare altri sistemi come questo” conclude Fabrel. “Al momento non possiamo ancora trarre conclusioni, perché Segue 1 è davvero il primo oggetto di questo tipo mai scoperto”.

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