NUOVI MODELLI PER LA METEOROLOGIA SPAZIALE

Piovono elettroni dalle fasce di Van Allen

Due studi pubblicati su Geophysical Research Letters hanno dimostrato, come mai prima d'ora, che è possibile prevedere gli eventi che si verificano nelle fasce di Van Allen, le due gigantesche “ciambelle” di gas elettrificato che circondano la Terra.

     10/03/2014
Le sonde della NASA Van Allen Van Allen orbitano attraverso due fasce giganti di radiazioni che circondano la Terra. Crediti: John Hopkins University Applied Physics Laboratory/NASA

Le sonde della NASA Van Allen Van Allen orbitano attraverso due fasce giganti di radiazioni che circondano la Terra. Crediti: John Hopkins University Applied Physics Laboratory/NASA

Utilizzando i dati provenienti dalle due sonde gemelle Van Allen della NASA, i ricercatori hanno testato e migliorato un nuovo modello per aiutare a prevedere ciò che succede in un ambiente carico di radiazioni come quello dello spazio vicino alla Terra, da anni nel mirino degli astrofisici. Si tratta di un nuovo sistema di meteorologia spaziale che varia in risposta alle particelle provenienti dal Sole. I satelliti possono avvertire cosa accade nelle cosiddette fasce di Van Allen, vale a dire le regioni a ciambella cariche di particelle di alta energia che circondano il nostro pianeta e distanti da esso 6300 e 40mila chilometri rispettivamente. Si tratta zone ricche di protoni ed elettroni che viaggiano ad alta velocità e che sono imprigionate dal campo magnetico terrestre. Quando qualsiasi evento destabilizza l’equilibrio di queste particelle le due sonde possono registrare i cambiamenti intervenuti nelle fasce e aiutare così gli scienziati a comprenderli meglio.

Due nuovi studi pubblicati su Geophysical Research Letters riportano i risultati di questi tentativi. Combinando i dati racconti dalle gemelle Van Allen e quelli elaborati da modelli computerizzati, gli studiosi hanno trovato un modo affidabile per simulare i cambiamenti nelle fasce di Van Allen e capirne le conseguenze, perché l’enorme quantità di particelle che vi sono “intrappolate” costituisce un serio rischio soprattutto per i satelliti lanciati nello spazio e, indirettamente, per gli astronauti che svolgono missioni nello spazio.

“Le due sonde  stanno raccogliendo grandi quantità di dati, ma non possono dirci ciò che sta accadendo ovunque in tempo reale”, ha specificato Geoff Reeves del Los Alamos National Laboratory e coautore di entrambi gli studi. “Abbiamo quindi bisogno di nuovi modelli per descrivere l’intero sistema, sempre basandoci sulle osservazioni delle due sonde”. Prima che le due gemelle Van Allen venissero lanciate nell’agosto del 2012 non era mai stata creata e messa in funzione alcun veicolo spaziale che raccogliesse in tempo reale informazioni dalle fasce di radiazioni. Le sonde, invece,  sono state ideate proprio per raccogliere informazioni sulle “condizioni meteo” nelle fasce di radiazioni, ma non hanno la capacità di osservare gli eventi in una sola volta. Così gli scienziati utilizzano i dati che ora hanno a disposizione per costruire simulazioni al computer che riempiono i vuoti. È stato infatti creato un modello tridimensionale chiamato DREAM3D (Dynamic Radiation Environment Assimilation Model in 3 dimensioni), che ha fatto finora affidamento sui dai provenienti dalla missione CRRES (Combined Release and Radiation Effects Satellite), lanciata nel 1990 nell’orbita geostazionaria per studiare il plasma e le particelle di energia nella magnetosfera della Terra.

In uno dei due studi si fa riferimento a una nuova tecnica per raccogliere misure globali in tempo reale del cosiddetto coro, fenomeno elettromagnetico causato da onde radio che oscillano a frequenze molto basse, tra 0 e 10 KHz, che sono cruciali nel fornire energia agli elettroni nelle fasce di radiazione. Gli studiosi hanno paragonato i dati raccolti dalle sonde Van Allen con quelli provenienti dai satelliti POES (Polar-orbiting Operational Environmental Satellites), che orbitano a basse altitudini sotto la fascia di radiazioni. Gli esperti hanno quindi correlato gli elettroni a bassa energia che cadono fuori delle fasce a ciò che stava accadendo direttamente all’interno delle fasce stesse. “Una volta stabilita una relazione tra il “coro” elettromagnetico causato dalle onde radio e gli elettroni che sfuggono alle fasce, abbiamo utilizzato i numerosi satelliti POES per determinare il numero di elettroni”, ha detto Yue Chen, ricercatore del Los Alamos. “Combinando questi dati con alcune misurazioni delle onde da un singolo satellite, possiamo intuire cosa sta accadendo con il coro in tutta la cintura”. Con questa tecnica è possibile effettuare stime accurate non al 100%, ma in ogni caso più precise rispetto al passato, di quanto accade nelle fasce.

Nel secondo studio viene descritto il modello DREAM3D paragonato alla tecnica di rilevazione del “coro” dalle sonde Van Allen e da ACE (Advanced Composition Explorer della NASA), creato per misurare le particelle trasportate dal vento solare. I ricercatori del laboratorio di Los Almos hanno comparato le simulazioni di modelli precedenti con una tempesta solare particolare dell’ottobre del 2012. “Si è trattato di una tempesta speciale – ha detto Weichao Tu, prima autrice della ricerca – perché durante la sua evoluzione ci sono stati due importanti picchi di attività: nel primo gli elettroni ad altissima velocità sono stati letteralmente spazzati via in modo molto rapido; nel secondo molti elettroni hanno subìto una notevole accelerazione. Ci sono stati mille volte più elettroni ad alta energia in solo poche ore”. Tu e il suo team di ricerca hanno utilizzato il modello tridimensionale con le informazioni sulle onde del “coro” elettromagnetico includendo anche i dati delle sonde Van Allen e di ACE. Cosa hanno scoperto? Gli scienziati hanno notato che la loro simulazione al computer aveva ricreato un evento molto simile alla tempesta solare del 2012. In più, il nuovo modello li ha aiutati a scoprire i diversi effetti provocati dai picchi durante l’evento: durante il primo c’erano semplicemente meno elettroni da poter accelerare. Nonostante ciò, nei primi momenti della tempesta il vento solare ha incanalato elettroni nelle fasce, così, durante il secondo picco, c’erano più elettroni da poter accelerare.

Per saperne di più:

Visita il sito della missione delle sonde Van Allen