UNA STELLA DISTRUTTA DA UN BUCO NERO

Il lampo rivelatore

Simulazioni al calcolatore condotte da un team di ricercatori dell'Università della California a Santa Cruz gettano nuova luce sulla violenta fine di una stella, distrutta da un buco nero supermassiccio. Stefano Covino (INAF): "Un pregevole passo avanti per chiarire alcuni aspetti osservativi di questi fenomeni che coinvolgono stelle simili al Sole".

     19/02/2014
Un fotogramma della simulazione realizzata dal team dell'Università della California a Santa Cruz in cui attorno a un buco nero si sta formando il disco di accrescimento con il materiale proveniente da una stella simile al Sole. Crediti: James Guillochon

Un fotogramma della simulazione realizzata dal team dell’Università della California a Santa Cruz in cui attorno a un buco nero si sta formando il disco di accrescimento con il materiale proveniente da una stella simile al Sole. Crediti: James Guillochon

Quando nel cielo si ‘accende’ una nuova sorgente per poi scomparire rapidamente, gli astronomi sanno che in qualche angolo dell’Universo qualcosa di catastrofico è avvenuto. Ad esempio, la fine di una stella di grande massa, esplosa come una supernova. Oppure, rimanendo nel tema di violente disintegrazioni stellari, un incontro troppo ravvicinato tra un buco nero e un astro. In quel caso, la stella viene letteralmente disgregata dall’intensa forza di attrazione gravitazionale del buco nero e una parte della materia che la compone viene scagliata via. Ciò che rimane va a costituire un disco attorno la buco nero via via che spiraleggia verso di esso. In questo vorticoso avvicinamento, il gas si surriscalda emettendo una enorme quantità di energia in un breve intervallo di tempo. Un evento simile è stato osservato per la prima volta in modo dettagliato nel 2010 grazie al Panoramic Survey Telescope and Rapid Response System (Pan-STARRS) e presentato in un lavoro su Nature nel 2012. Uno degli aspetti più sorprendenti emersi dall’analisi spettrale della luce prodotta da quel lampo, denominato PS1-10jh, indicava che erano presenti solo le righe di emissione dell’elio ma non c’era traccia di quelle dell’idrogeno. Il dato era inatteso in quanto in prima battuta suggeriva che il materiale di cui era fatta la stella e ingurgitato dal buco nero era quasi esclusivamente elio. Se la stella fosse stata effettivamente composta di questo elemento, l’evento osservato sarebbe stato una rarità nella rarità, dato che la stragrande maggioranza delle stelle che conosciamo sono, al contrario, quasi completamente composte di idrogeno. Ma i dati osservativi potevano anche essere spiegati dallo scenario in cui a una normale stella, dotata di un nucleo di elio, perdeva il suo strato esterno di idrogeno prima dell’atto finale culminato nel lampo.
Per cercare di risolvere questo enigma, un team di ricercatori dell’Università della California di Santa Cruz guidato da James Guillochon ha effettuato una serie di simulazioni al calcolatore con l’obiettivo di ricostruire i drammatici momenti della distruzione della stella e determinare le caratteristiche della radiazione liberata durante l’evento. Per PS1-10jh emerge che la coppia celeste da cui è scaturito il lampo osservato a Terra era composta da una stella simile per caratteristiche al nostro Sole e un buco nero supermassiccio con una massa pari a circa 20 milioni di volte quella solare.
Le simulazioni mostrano altre interessanti proprietà del sistema durante la disgregazione della stella, in particolare come si distribuisce il materiale stellare attorno al buco nero, informazione grazie alla quale i ricercatori individuano nel disco di accrescimento l’unica zona dove possono essere state prodotte le righe di emissione osservate nello spettro del lampo. Per gli scienziati coinvolti nel lavoro, studiare questo evento è stato un po’ come osservare l’accensione di un nucleo galattico attivo (AGN). In queste potenti sorgenti celesti, le righe di emissione degli elementi chimici vengono prodotte a differenti distanze dal buco nero supermassiccio. Quelle associate all’elio provengono dalle regioni più interne mentre quelle associate all’idrogeno sono prodotte in zone molto più lontane dal buco nero, dove l’intensità della radiazione ionizzante è inferiore. Riproponendo lo stesso ragionamento per PS1-10jh, l’assenza di righe di emissione dell’idrogeno nel suo spettro può essere spiegato dal fatto che in quel momento il disco di accrescimento non era diventato sufficientemente esteso da raggiungere la distanza dove l’idrogeno inizia a produrre righe di emissione.
“I fenomeni di distruzione mareale sono diventati negli ultimi anni un argomento di forte attualità, anche grazie ad osservazioni dettagliate da parte di Swift ed altri satelliti che lavorano ai raggi X” commenta Stefano Covino, dell’INAF-Osservatorio Astronomico di Brera. “E’ comunque vero che la nostra conoscenza teorica di questi fenomeni è ancora limitata, e di conseguenza anche la nostra capacità di interpretare le osservazioni ottenute. Questo lavoro rappresenta quindi un pregevole passo avanti chiarendo alcuni aspetti osservativi non banali nel caso di distruzione di normali stelle di sequenza principale, grossomodo come il nostro Sole. Come astronomi INAF siamo molto interessati a questa famiglia di fenomeni alla luce delle attività in corso e future per lo studio a grande campo dei fenomeni transienti nell’Universo”.

Per saperne di più:

l’articolo PS1-10jh: The Disruption of a Main-Sequence Star of Near-Solar Composition di  James Guillochon et al. in corso di pubblicazione sulla rivista The Astrophysical Journal