DUE NUOVI STUDI SU NATURE

Vesta invecchia a modo suo

L'asteroide subisce un processo di space weathering (l'alterazione della superficie esposta all'ambiente spaziale) tutto suo, diverso da quello di Luna e altri asteroidi. Lo dimostrano due ricerche pubblicate su Nature, con i ricercatori dell'INAF tra gli autori.

     31/10/2012

Vesta ripreso dalla sonda Dawn (NASA/JPL-Caltech/UCLA/MPS/DLR/IDA)

Quali forze plasmano la superficie di Vesta, l’asteroide (o “pianeta mancato”, come stiamo imparando a considerarlo) studiato dalla sonda della NASA Dawn? Su questa domanda si concentrano i due studi pubblicati su Nature di questa settimana, un altro capitolo dell’identikit di questo asteroide che i dati di Dawn ci stanno restituendo, tassello per tassello. Questa volta all’attenzione degli studiosi è uno degli aspetti di Vesta che agli astronomi è sempre sembrato più curioso e interessante. L’apparente assenza sulla sua superficie di processi di “space weathering”, l’alterazione della superificie esposta all’ambiente spaziale che è tipica dei corpi planetari non circondati da aria. Come appunto la Luna e molti asteroidi, salvo che su Vesta non si trovavano gli stessi effetti osservati altrove.

“L’effetto dello space weathering su Vesta è stato materia di dibattito per diversi anni: le bande di assorbimento dei materiali sono molto evidenti e fanno pensare a processi differenti da quelli in atto sulla Luna e altri asteroidi” dice Eleonora Ammannito dell’Istituto di Astrofisica e Planetologia Spaziali dell’INAF, co-autrice degli studi su Nature e vice responsabile dello strumento VIR sulla sonda Dawn.

Il primo dei due studi, che ha come prima firma Thomas McCord del Bear Fight Institute di Winthrop, negli USA, dimostra che ci sono due tipi principali di materiali su Vesta: quelli brillanti e quelli scuri. Mentre i primi, spiegano gli studiosi, sembrano materiali basaltici “indigeni” di Vesta, quelli scuri sono stati probabilmente acquisiti a causa di impatti di altri corpi ricchi di carbonio. Impatti successivi avrebbero portato questi materiali più scuri a mescolarsi al suolo dell’asteroide (o “regolite”, come andrebbe correttamente chiamato).

Il secondo studio è guidato invece da Carle Pieters della Browne University, nel Rhode Islansd, e conferma che Vesta subisce un tipo di space weathering tutto suo, diverso da quello di altri corpi. Mancano infatti i composti che di solito hanno a che fare con l’effetto di space weathering, ovvero le nanoparticelle metalliche (tipicamente di ferro) trovate nelle analisi di campioni lunari o da asteroidi come Itokawa. Di queste particelle non c’è traccia su Vesta, in compenso il materiale esposto in superficie su diversi crateri recenti scompare gradualmente sullo sfondo man mano che il cratere invecchia. I dati spettroscopici rivelano invece che su Vesta il regolite diventa localmente omogeneo nel corso del tempo, soprattutto a causa del rimescolamento su piccola scala dei diverse componenti della superficie. Anche in questo caso, i dati depongono a favore dell’idea che la principale forza attiva nel plasmare la superficie di Vesta e la composizione del regolite siano gli impatti di corpi ricchi di carbonio, piuttosto che il vento solare o i raggi cosmici come su altri corpi.

“Il contributo del team INAF ai due articoli è sostanziale: le ricerche svolte sono basate principalmente sull’interpretazione dei dati di VIR, lo spettrometro ad immagini italiano a bordo della sonda Dawn. I risultati presentati in Nature ci danno indicazioni complementari sui processi primordiali, come il trasporto di materiale ricco in acqua, e quelli tuttora in atto, come la rielaborazione della superficie per l’effetto dello Space Weathering” dice Maria Cristina De Sanctis, leader dello strumento VIR sempre per lo IAPS-INAF.