Ci sono tre stelline incontaminate e pure, lassù nel cielo a 22 anni luce dalla Terra. Così incontaminate che i loro elementi pesanti – le “scorie” del succedersi di cicli di fusione nucleare – hanno una concentrazione che è appena un quarto di quella presente nel Sole: per il resto, sono tutt’idrogeno ed elio. Una condizione tale da far ritenere agli astronomi che i tre astri fossero inadatti a ospitare pianeti. Invece salta fuori che attorno a una delle tre, GJ 667C (le altre due, sempre parte dello stesso sistema, si chiamano GJ 667A e GJ 667B), di mondi che ruotano ce ne sono almeno due, se non tre o quattro.
Uno in particolare sta attirando l’attenzione dei ricercatori: pur ricevendo solo il 90% della luce che giunge sulla Terra dal Sole, GJ 667Cc – questo il nome del nuovo mondo – ne assorbe più di quanta non riesca ad assorbirne il nostro pianeta. Ciò avviene perché quelli che illuminano GJ 667Cc sono in gran parte raggi infrarossi. Risultato: fatti i dovuti conti, la quantità d’energia che riceve dalla sua stella è grosso modo la stessa che la Terra riceve dal Sole. Dunque la nuova terra – o meglio, super-terra, visto che ha una massa pari ad almeno 4.5 volte quella del nostro pianeta – non solo esiste, a dispetto della “leggerezza” della stella madre, ma si trova pure nella cosiddetta fascia d’abitabilità.
«Questo pianeta è attualmente il miglior candidato che si conosca per ospitare acqua allo stato liquido e, forse, la vita come noi la conosciamo», dice Guillem Anglada-Escudé, del Carnegie Institution for Science, insieme a Paul Butler uno dei due ricercatori che hanno guidato il team che ha portato alla scoperta, in corso di pubblicazione su Astrophysical Journal Letters. È stato possibile individuare GJ 667Cc, che ha un periodo orbitale di 28.15 giorni, grazie a un nuovo metodo d’analisi applicato a dati già resi pubblici dall’ESO. I ricercatori si sono avvalsi anche di misure raccolte con due spettrografi, lo High Resolution Echelle Spectrograph (HIRES) e il Carnegie Planet Finder Spectrograph, installati rispettivamente all’osservatorio del Keck e sul telescopio Magellan II.
E proprio per parlare di uno spettrografo progettato per dare la caccia ai mondi alieni, HARPS-N (dove la ‘N’ sta per emisfero nord) – pronto a entrare in funzione al TNG, il Telescopio Nazionale Galileo dell’INAF situato alle Canarie – si sono incontrati giovedì 2 febbraio, presso la sede di Monte Mario, ricercatori da tutt’Italia e dall’estero. Fra loro il responsabile di HARPS-N, Francesco Pepe, e il direttore del TNG, Emilio Molinari. «Questo pianeta ha caratteristiche speciali: è attorno a una stella di metallicità bassa», commenta Molinari a proposito della scoperta di GJ 667Cc, «e apre alla possibilità che potrebbero esserci molti più pianeti di quanto si pensi. Alcuni toccheranno pure a noi, e grazie alla precisione che riusciremo a raggiungere con HARPS-N, riusciremo a individuare anche qualche gemello delle Terra». HARPS-N sembra proprio avere tutte le carte in regola per regalare al TNG un abbondante raccolto: «Il programma della collaborazione occuperà 80 notti all’anno, e farà il follow-up dei candidati pianeti del satellite Kepler. È la rendita di posizione di uno strumento che è attualmente il più preciso al mondo. Ha un gemello nell’emisfero sud, HARPS, ma solo dal nostro emisfero», spiega Molinari, «possiamo osservare il campo indagato da Kepler, che è nella costellazione del Cigno».