C’È ANCHE UNA SCOPERTA FIRMATA INAF

Tre volte astrofisica nella top ten di Science

Come da tradizione, la rivista Science pubblica la sua classifica annuale delle dieci scoperte più importanti del 2011. Al primo posto i progressi nella lotta all’AIDS. Ma subito a seguire i risultati dalle polveri dell’asteroide Itokawa. E ancora, l’universo semplice e la varietà dei pianeti extrasolari.

     22/12/2011

I tre risultati astrofisici nella top ten di Science per il 2011. Dall'alto in senso orario: la sonda giapponese Hayabusa sull'asteroide Itokawa (secondo posto), nubi di gas primordiale (quinto posto) e pianeti extrasolari (ottavo posto). Fonte: Science

Fra le dieci più importanti scoperte scientifiche dell’anno che sta per chiudersi, ben tre riguardano lo studio dell’Universo. Questo il verdetto della rivista Science, che come da tradizione ha appena stilato l’elenco dei “breakthrough” per il 2011. A farla da padrona sono le scienze biomediche, cinque risultati su dieci, uno dei quali – sui progressi nella prevenzione dell’AIDS – nel gradino più altro del podio. In seconda, quinta e ottava posizione, però, ecco tre scoperte tutte con lo sguardo puntato verso il cielo. Una delle quali ottenuta grazie al fondamentale contributo dell’INAF. E tutte ampiamente trattate qui su queste pagine. Ripercorriamole in dettaglio.

Polvere d’asteroide

La medaglia d’argento è andata alla sonda giapponese Hayabusa. I campioni di polvere che è riuscita a portare sulla Terra, raccolti sull’asteroide Itokawa, hanno permesso agli scienziati di trovare la risposta a un enigma sul quale s’interrogavano da decenni: da dove provengono le condriti, le meteoriti più comuni? Solo grazie all’analisi nei laboratori a Terra si è riusciti a stabilire che l’incertezza sulla loro identità è dovuta all’azione del vento solare. Secondo gradino del podio meritatissimo, dunque, anche perché Hayabusa, per consegnarci quella preziosa manciata di polveri (appena 52 particelle microscopiche, meno d’un decimo di millimetro di diametro l’una), ha dovuto affrontare un’autentica odissea, durata sette anni abbondanti durante i quali le è successo proprio di tutto: dalla rottura di due dei suoi tre giroscopi ai ripetuti tentativi d’atterraggio sull’asteroide, fino alla perdita della rotta durante il viaggio di rientro, con il rischio di non fare mai più ritorno. Ma ne è valsa decisamente la pena.

Un universo più semplice

C’è stata un’epoca in cui le cose erano meno complicate, e tutto era più leggero. Almeno quanto a composizione chimica: non essendosi ancora formati gli elementi pesanti, idrogeno ed elio la facevano da padroni. Un’epoca di cui gli astrofisici, nel corso degli ultimi dodici mesi, hanno rinvenuto indizi in due contesti alquanto diversi, guadagnandosi così la quinta posizione nella top ten di Science. Come? Sul piano cosmologico, individuando grazie telescopio Keck, nelle Hawaii, nubi primordiali di gas incontaminato. Restringendo di molto la visuale, invece, ecco la scoperta di una piccola stella che a rigor di logica non dovrebbe esserci: la concentrazione in essa presente d’elementi più pesanti dell’elio è talmente bassa, un decimillesimo di quella del Sole, da farla sembrare appena uscita dal Big Bang. Con i suoi 13 miliardi di anni abbondanti d’età, è probabilmente la stella più vecchia che si conosca. A scoprirla, un team guidato da Elisabetta Caffau, del Centro per l’astronomia dell’Università di Heidelberg e dell’Osservatorio di Parigi. Numerosi gli italiani, oltre a Caffau, che hanno partecipato alla ricerca. Tre lavorano attualmente all’estero: Piercarlo Bonifacio, direttore del GEPI – Observatoire de Paris, Lorenzo Monaco dell’ESO a Santiago (Cile) e Luca Sbordone del Max-Planck Institut für Astrophysik (Garching, Germania). E altri tre sono ricercatori dell’INAF: Paolo Molaro (Osservatorio di Trieste), Sofia Randich (Osservatorio di Arcetri) e Simone Zaggia (Osservatorio di Padova). Elisabetta Caffau, insieme al team che ha condotto la ricerca, ha ricevuto proprio per questa scoperta il premio Cartagine, consegnato il 9 dicembre scorso nella Sala della Protomoteca del Campidoglio.

L’incredibile varietà dei mondi alieni

Infine, all’ottavo posto della top ten, né una scoperta singola né una doppia, bensì un risultato che è frutto d’un’ampia serie d’osservazioni di pianeti extrasolari, condotte anzitutto dalla sonda NASA Kepler. Osservazioni dalle quali emerge sempre più chiaramente quanto questi mondi lontani, di cui ormai ne conosciamo un migliaio, siano alieni in tutti i sensi, strani e imprevedibili. Fra i più  sorprendenti, Science cita il sistema planetario con sei pianeti, il gigante gassoso in contromano e i mondi solitari rimasti orfani della stella madre. E tutto lascia supporre che siamo solo agli inizi.