NUOVO METODO PER LA COSTANTE DI HUBBLE

Un tachimetro di riserva per l’Universo

Lo ha ideato un dottorando australiano. È un sistema alternativo per calcolare la velocità d’espansione dell’Universo. Il risultato non si discosta da quello già noto ai cosmologi, ma il metodo avrebbe il vantaggio di non essere soggetto agli errori sistematici nella stima della distanza delle galassie.

     26/07/2011

Un'immagine dalla 6df Galaxy Survey. Al centro della sfera c'è la Terra, e ogni puntino rappresenta una galassia (crediti: Chris Fluke, Centre for Astrophysics & Supercomputing, Swinburne University of Technology)

A leggerle distrattamente, le conclusioni di un articolo appena pubblicato su MNRAS da un gruppo di ricercatori guidato da Florian Beutler – dottorando dell’International Centre for Radio Astronomy Research (ICRAR), un istituto della University of Western Australia, a Perth – potrebbero far pensare che l’Universo stia scalando le marce, seppur di pochissimo. Non è così, il nuovo calcolo che gli astronomi australiani propongono per la costante di Hubble, considerando i margini d’errore, porta a un risultato comunque sovrapponibile a quelli già ipotizzati: 67±3.2 km/s per megaparsec, rispetto ai 70 km/s per megaparsec abbondanti misurati negli ultimi anni dallo Hubble Space Telescope e dal satellite WMAP.

Ben più interessante del risultato in sé, però, è il metodo ideato da Beutler e colleghi per giungere alle loro conclusioni. Per capire in cosa consista, partiamo da alcune nozione di base di cosmolgia. Espandendosi, l’Universo fa si che le galassie siano sempre più lontane fra loro. La costante di Hubble è il numero che mette in relazione la distanza fra le galassie con velocità alla quale si allontanano l’una dall’altra. Più sono lontane, più vanno veloci.

Per misurare la costante di Hubble – un numeretto d’importanza cruciale per la stima della dimensione e dell’età dell’Universo – si cerca dunque di calcolare la velocità alla quale le galassie si allontanano da noi e la distanza che ci separa da loro. Solo che, mentre non è difficile stabilire la velocità e la direzione d’allontanamento d’una galassia da noi, il problema è determinarne con altrettanta precisione la distanza. Per farlo, di solito si osserva la luminosità di singole sorgenti all’interno delle galassie stesse. Poi, conoscendo le proprietà di quel tipo di sorgenti, se ne ipotizza la distanza da noi. Dunque, un approccio che si basa su alcuni presupposti ben consolidati, ma soggetto a errori sistematici.

Florian Beutler ha provato ad affrontare il problema affidandosi a un metodo radicalmente diverso: il suo sistema parte da una survey di su 125mila galassie, la 6dF Galaxy Survey. Realizzata grazie allo UK Schmidt Telescope (UKST), nell’Australia orientale, il catalogo copre quasi metà del cielo, ed è a oggi il più completo per quanto riguarda le galassie relativamente vicine. Ora, le galassie non sono distribuite uniformemente nello spazio: di solito, sono raggruppate in ammassi (cluster). Ed è proprio misurando questa disuniformità, dunque il raggruppamento delle galassie osservate, e integrando quest’informazione con altre osservazioni relative all’Universo primordiale, che il gruppo guidato da Beutler è riuscito a dare una stima del tutto indipendente della costante di Hubble, e con una incertezza inferiore al 5%.

«Il loro studio», spiega Fabio Finelli, ricercatore dell’INAF IASF Bologna ed esperto di cosmologia, «offre una stima delle oscillazioni acustiche dei barioni nella 6dF Galaxy Survey: un risultato indipendente e complementare rispetto alle precedenti analisi di altri cataloghi di galassie. Tali oscillazioni acustiche sono una traccia fossile dell’età dell’Universo, in cui barioni e fotoni erano un plasma unico, e sono visibili anche nello spettro angolare delle anisotropie di fondo a microonde. Il lavoro del gruppo di Beutler mostra come questa nuova stima dalla survey 6dF – a redshift minori rispetto alle precedenti – sia efficace nel vincolare le proprietà dell’energia oscura in combinazione con i dati precedenti e con quelli delle anisotropie di fondo a microonde».

«Un modo di determinare la costante di Hubble diretto e preciso quanto gli altri», sottolinea Matthew Colless, co-autore del paper e direttore dell’Australian Astronomical Observatory, «e in grado di fornire una verifica indipendente. La nuova misura, ben accordandosi con i risultati precedenti, rappresenta un test molto affidabile del lavoro fatto finora».

Per saperne di più: