
Tenute sotto osservazione sin da quando sono state scoperte, grazie al cannocchiale di Galileo Galilei, le macchie solari sono aree della superficie del Sole che appaiono più scure del resto della nostra stella, a causa di una temperatura minore rispetto a quella circostante. Il monitoraggio delle macchie ha mostrato cicli di 11 anni, in cui il numero di macchie raggiunge picchi di massimo e di minimo.
L’ultimo minimo solare, in corrispondenza della fase finale del ciclo 23, si sarebbe dovuto chiudere l’anno scorso. Normalmente i periodi di inattività della nostra stella durano 16 mesi. Stavolta, va avanti così da 26 mesi, il lasso di tempo più lungo nell’ultimo secolo. Il dato sarebbe in linea con le osservazioni di Matthew Penn e William Livingston, che da circa 20 anni monitorano l’attività solare utilizzando la tecnica chiamata Zeeman splitting o effetto Zeeman, dal nome del fisico olandese che l’ha scoperta e per la quale ha meritato il Premio Nobel. In pratica, il metodo consiste nella misurazione delle linee spettrali emesse dagli atomi di ferro nell’atmosfera solare. Più le linee spettrali sono distanziate, tanto maggiore è l’attività del campo magnetico esterno che crea l’effetto. Dopo aver analizzato 1500 macchie solari, i due scienziati hanno concluso che mediamente il campo magnetico è diminuito. La ragione di questa diminuzione non è chiara, ma lungo questa china le macchie solari sarebbero destinate a scomparire del tutto già nel 2016.
“La previsione è prematura”, commenta Alessandro Bemporad dall’OA di Torino. “L’evento potrebbe non verificarsi, oppure verificarsi e non provocare alterazioni climatiche come alla fine del 1600”. Gli stessi ricercatori statunitensi sono cauti. “Solo il tempo potrà stabilire come andranno le cose. Di certo, non c’è dubbio che le macchie solari non godono di ottima salute in questo periodo”.






