PIANETI DIVORATI SOTTO GLI OCCHI DI CHANDRA

Radiografia di un pasto stellare

Osservazioni ai raggi X della stella RW Aur A, nella costellazione del Toro, potrebbero spiegare il misterioso oscuramento periodico della stella come il risultato di successivi pasti a base di resti di giovani pianeti che si sono scontrati nelle sue vicinanze. Lo studio su The Astronomical Journal

     19/07/2018

Illustrazione artistica raffigurante la distruzione di un giovane pianeta. Gli scienziati potrebbero averne vista una per la prima volta. Crediti: Nasa/Cxc/M.Weiss

Per quasi un secolo, gli astronomi hanno osservato meravigliati la curiosa variabilità delle giovani stelle situate tra le costellazioni del Toro e dell’Auriga, a circa 450 anni luce dalla Terra. In queste costellazioni le nebulose oscure raggruppano nubi molecolari che ospitano numerose nurseries stellari contenenti migliaia di giovani stelle, che si formano grazie al collasso gravitazionale di gas e polveri.

Le stelle molto giovani, a differenza del nostro Sole, sono ancora circondate da un disco di gas, polveri e grumi di materiale di dimensioni variabili, da piccoli granelli a ciottoli, e forse a pianeti neonati. «Questi dischi durano da 5 a 10 milioni di anni, e nel Toro ci sono molte stelle che hanno già perso il loro disco, ma alcune ancora lo conservano. Se vogliamo sapere cosa succede negli stadi finali della dispersione del disco, il Toro è uno dei posti dove guardare», afferma Hans Moritz Günther, ricercatore del Mit che ha guidato un nuovo studio, pubblicato il 18 luglio scorso su The Astronomical Journal, riguardante una di queste giovani stelle: Rw Aur A, che si stima abbia diversi milioni di anni e che compone un sistema binario con un’altra giovane stella, Rw Aur B, entrambe con massa simile al Sole.

Dal 1937 gli astronomi hanno registrato, ogni pochi decenni, notevoli cali nella luminosità di Rw Aur A. Ogni calo sembrava durare circa un mese, per poi tornare a risplendere come prima. Nel 2011 la stella si è oscurata di nuovo, questa volta però per circa sei mesi, quando è tornata a risplendere solo per sbiadire di nuovo a metà 2014. La stella è poi tornata alla sua piena luminosità a novembre 2016. L’aumento della frequenza e della durata dei periodi di oscuramento di Rw Aur A ha portato gli astronomi a domandarsene la causa: la risposta potrebbe far luce su alcuni dei processi caotici che si verificano all’inizio dello sviluppo di una stella. Utilizzando il Chandra X-Ray Observatory della Nasa, il team coordinato da Günther ha trovato prove di ciò che può aver causato il più recente oscuramento di Rw Aur A: una collisione tra due giovani corpi planetari dalla quale si è formata una densa nube di gas e polveri, la cui caduta nella stella genera una spessa copertura che ne oscura temporaneamente la luce.

«Le simulazioni al computer predicono da tempo che i pianeti possano cadere in una giovane stella, ma non l’avevamo mai osservato prima. Se la nostra interpretazione dei dati è corretta, questa potrebbe essere la prima volta che osserviamo direttamente una giovane stella che divora uno o più pianeti», dice Günther. Inoltre, anche le precedenti attenuazioni luminose della stella potrebbero essere state causate da eventi simili.

Ma il gruppo di ricercatori non si è fermato qui e quando, a gennaio 2017, RW Aur A si è nuovamente oscurata, il team ha utilizzato il satellite Chandra per registrare l’emissione di raggi X dalla stella. «Volevamo studiare il materiale che copre la stella, che è presumibilmente correlato al disco in qualche modo. I raggi X provengono dalla stella, e lo spettro dei raggi X cambia mentre i raggi si muovono attraverso il gas nel disco. Stiamo cercando determinate firme nello spettro a raggi X che il gas vi ha lasciato», spiega Günther.

In tutto, Chandra ha registrato 50mila secondi, cioè quasi 14 ore di dati dei raggi X provenienti da RW Aur A. I ricercatori hanno ottenuto diverse rivelazioni sorprendenti: il disco della stella ospita una grande quantità di materiale e la stella è molto più calda del previsto, inoltre il disco contiene molto più ferro di quanto atteso (meno di quello che si trova sulla Terra o sulla Luna, ma più di quanto si trova in una tipica luna nel nostro sistema solare).

Di solito lo spettro ai raggi X di una stella mostra vari elementi, come ossigeno, ferro, silicio e magnesio, e la quantità presente di ciascuno dipende dalla temperatura all’interno del disco. «Qui vediamo molto più ferro, almeno un fattore dieci in più che in precedenza, il che è parecchio insolito perché in genere le stelle che sono attive e calde hanno meno ferro di altre, mentre questa ne ha di più. Da dove viene tutto questo ferro?», si chiede Günther. Le spiegazioni possibili secondo i ricercatori sono due: o un fenomeno chiamato trappola a pressione di polvere, in cui piccoli granelli o particelle come il ferro possono rimanere intrappolati in “zone morte” di un disco e, se la struttura di questo cambia improvvisamente – ad esempio quando la stella compagna dell’astro gli passa vicino e le forze mareali risultanti possono rilasciare le particelle intrappolate, si crea un eccesso di materiale che può cadere nell’astro; oppure l’eccesso di ferro si crea quando due giovani pianeti si scontrano, rilasciando una densa nube di particelle. Se uno o entrambi i pianeti sono fatti in parte di ferro, il loro scontro può rilasciarne una grande quantità nel disco della stella e oscurare temporaneamente la sua luce mentre il materiale le cade addosso. Quest’ultima è per Günther la più convincente.

Il team spera di poter osservare la stella in futuro, per vedere se la quantità di ferro che la circonda è cambiata: una misura che potrebbe aiutare i ricercatori a determinare le dimensioni della fonte di ferro, confermando o escludendo l’ipotesi della grande collisione planetaria. «Attualmente molti sforzi vanno verso lo studio degli esopianeti e il modo in cui si formano, quindi è ovviamente molto importante vedere come i giovani pianeti potrebbero essere distrutti nelle interazioni con le loro stelle ospitanti e altri giovani pianeti, e quali fattori determinano se sopravvivono», conclude Günther.

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