INTERVISTA SULLO SPOT CHE INFIAMMA I SOCIAL MEDIA

Un asteroide a colazione: il parere dell’astrofisico

Dobbiamo stare attenti ai meteoriti quando facciamo merenda in giardino? Abbiamo raccolto il parere di un esperto, Giovanni Valsecchi dell'Inaf Iaps di Roma. Nota: nessun astrofisico è stato maltrattato durante la conduzione di questa intervista

     06/09/2017

Giovanni Valsecchi, astrofisico all’Istituto di astrofisica e planetologia spaziali dell’Inaf di Roma

A meno che non viviate sotto un macigno, vi sarete sicuramente accorti che – da una settimana a questa parte – sembra che sui social media ci sia ormai un solo argomento di discussione. Parliamo proprio di lui: del celeberrimo spot di una merendina nel quale un asteroide va a colpire due ignari genitori che esprimono scetticismo riguardo ai sofisticati desideri alimentari della figlia. Il dibattito, come il meteorite, è infuocato: abbiamo letto editoriali di preminenti opinionisti, interventi di psicologi e semiologi, lettere aperte di associazioni di genitori, giudizi di esperti di marketing, nonché i commenti delle nostre zie su Facebook. E qui a Media Inaf ci siamo chiesti, data la natura del fenomeno: non sarà il caso di sentire anche un astronomo? Abbiamo dunque fatto quattro chiacchiere con Giovanni Valsecchi, ricercatore presso l’Istituto di astrofisica e planetologia spaziali dell’Inaf di Roma ed esperto di meccanica celeste. Chi meglio di lui per gettare luce sull’accuratezza scientifica dello spot incriminato?

Prima di tutto, facciamo un po’ di chiarezza terminologica: sbaglio o sarebbe meglio parlare di meteorite, piuttosto che di asteroide

«Veramente sarebbe meglio parlare di meteoroide! La terminologia è cosi: se uno vede un lampo di luce nell’atmosfera, quella è una meteora (dal greco meta e aer “in mezzo all’aria”). Se ce un pezzo di qualcosa di solido che rimane sul suolo dopo che la meteora è arrivata a terra, quello è, infatti, un meteorite. Ma se invece parliamo del corpo che dà origine alla meteora (e poi, eventualmente, al meteorite) quando sta ancora nello spazio si chiama meteoroide. Se a questo capita di essere osservato tramite un telescopio, appartiene al Sistema solare, e non è un oggetto esteso (non possiede una chioma) diventa per definizione un asteroide. Ad esempio il 2008 TC3 (asteroide caduto in Sudan) è stato prima visto al telescopio. Se invece non lo avessimo visto al telescopio e avessimo solamente trovato le meteoriti che ha rilasciato a terra (dopo aver attraversato l’atmosfera come oggetto luminoso – la meteora) avremmo parlato di un meteoroide. Questi termini insomma non sono assegnati in base alla natura fisica del corpo, ma piuttosto al metodo con cui è stato osservato. Se parliamo di meteoroide è perché nessuno lo ha visto prima che cadesse. Come nel caso della pubblicità. Quello che rimane a terra è – in effetti– un meteorite, ma è solo ciò che rimane del meteoroide originale, che si è consumato nell’atmosfera».

Quello che vediamo nello spot è, sostanzialmente, un grosso macigno di pietra incandescente. È questo l’aspetto di un vero meteoroide?

«Più o meno. Quando un meteorite viene rilasciato, si è raffreddato al punto che l’ultima parte del volo viene chiamata “dark flight” (volo oscuro, o cieco) proprio perché non è visibile. Si vede solo nella fase di meteora – quando la frizione con l’aria lo sta incendiando – ma quando ha rallentato abbastanza è semplicemente un sasso che cade. Se cadesse un oggetto del genere vicino a noi, sentiremmo solamente il rumore prodotto dall’impatto, e non vedremmo nulla – nessuna scia di fuoco – nell’ultima fase della sua discesa».

Per poter sopravvivere al rientro atmosferico, quanto dovrebbe essere grande un asteroide?

«Non è solo la dimensione che conta. Più che la grandezza bisogna considerare la velocità che ha l’oggetto quando entra nel campo gravitazionale terrestre, e la sua composizione. Se fosse un pezzo di metallo, arriverebbe a terra anche se piccolissimo, e quasi indipendentemente dalla sua velocità. Se invece fosse una roccia (per così dire) allora arriverebbe a terra solo se la velocità fosse inferiore ai 10 chilometri al secondo. Dovrebbe anche essere sufficientemente compatta, e non dovrebbe frammentarsi troppo: ovviamente, più il meteoroide si frammenta, più la superficie che entra a contatto con l’atmosfera è grande, e quindi più si consuma rapidamente. Se invece parliamo di qualcosa che arrivasse a una velocità di 30 chilometri al secondo, questo dovrebbe essere più grande di 50/80 metri per poter raggiungere la superficie. Per esempio, l’oggetto di Tunguska, che ha sprigionato 5 megatoni di energia nell’atmosfera, non è arrivato a terra, benché si pensi che fosse di circa 40 metri di diametro. D’altra parte, l’oggetto che ha creato il Meteor Crater in Arizonacon lo stesso diametro di quello di Tunguska, è invece arrivato fino a terra, perché era un pezzo di metallo».

Ma capita spesso che persone vengano colpite da un meteoroide? Dobbiamo iniziare a stare attenti, e a camminare con il naso all’insù?

«No, ci sono pochissimi casi storici (mi sembra che esista un antico testo di un frate italiano che avrebbe perso un braccio per colpa di un meteoroide, nel sedicesimo secolo). In epoca moderna c’è solo un episodio accertato, risalente agli anni ’50, che coinvolse una signora americana. Questi incidenti sono estremamente rari anche perché la porzione di superficie terrestre ricoperta da esseri umani è minuscola!».

Laddove un meteorite di circa quelle dimensioni (diciamo circa un metro di diametro) riesca a raggiungere la superficie, i danni causati dall’impatto non dovrebbero essere un pochino più gravi che un tavolo e alcune sedie rotte?

«In realtà questo aspetto dello spot non è poi così sbagliato. Frammenti del famoso meteorite di Sikote-Alin, per esempio, hanno fatto dei buchi nel terreno e non crateri, per via della loro bassa velocità terminale. Dipende dalla velocità a cui sta viaggiando l’oggetto: se questa fosse paragonabile a quella di un sasso fatto cadere da un aereo (che raggiunge la terra al massimo a 200/300 chilometri orari, non di più, perché l’aria gli impedisce di accelerare maggiormente) l’impatto non sarebbe particolarmente catastrofico. Se invece l’oggetto fosse abbastanza grande, e avesse una velocità sufficiente quando entrato nel campo gravitazionale terrestre, allora potrebbe colpire il terreno a una velocità maggiore. Come nel caso di quello che, nel 2008, ha creato il cratere di Carancas – di dodici metri di diametro – un caso al limite tra la velocità di caduta libera e la velocità ancora influenzata da quella che possedeva nello spazio (anche grazie al fatto che l’impatto è avvenuto ad alta quota, e che quindi l’oggetto ha dovuto attraversare meno atmosfera). Poi c’è anche da considerare la composizione del terreno: di nuovo nel caso di Carancas, la presenza di acqua nel terreno ha fatto sì che il cratere si riempisse di acqua! In breve: se la velocità terminale di un oggetto è bassa, grazie al rallentamento prodotto dall’atmosfera, i danni prodotti dall’impatto potrebbero – come nello spot – essere limitati».


Ecco su YouTube il backstage dello spot che sta facendo impazzire i social: