IN RICORDO DI NANNI BIGNAMI

Un marziano in mezzo a noi

Astrofisico di fama mondiale, divulgatore scientifico amato dal pubblico, già presidente dell'Agenzia Spaziale Italiana e dell'Istituto Nazionale di Astrofisica (dal 2011 al 2015). Nanni Bignami era questo e molto altro, un vero e proprio marziano in mezzo a noi

     25/05/2017

Nanni Bignami era sì un astrofisico di fama mondiale e un grandissimo divulgatore scientifico, ma soprattutto era una di quelle persone di cui viene da dire “davvero fuori dal comune”. Chi ha avuto modo di stargli vicino non poteva che essere colpito dalla sua enorme energia, dai suoi modi a volte bruschi e sempre diretti, dalla sua simpatia scanzonata, ma soprattutto dalla sua enorme curiosità.

Era un uomo disinvolto, che dava l’impressione di essere a suo agio nel mondo, in qualunque parte del mondo, in abiti eleganti come in tuta da jogging. Mostrava lo stesso entusiasmo per una lezione sul comportamento dei rapaci notturni – ricordo durante una cena in un festival della scienza di essermi girata un attimo e, da che era seduto a tavola, di averlo visto sdraiato sul prato in mezzo a un gruppo di bambini, ad ascoltare la lezione che un divulgatore stava facendo loro – come per i più alti argomenti scientifici e letterari.

Era un uomo coltissimo, tra le molte lingue che parlava fluentemente, inglese e russo per prime, amava con passione viscerale il latino. Lucrezio, che a scuola evidentemente non erano riusciti a farmi amare, lui me lo aveva fatto scoprire in tutto il suo incredibile genio. E Giordano Bruno, e Galileo, e Primo Levi.

Era un fiume di passione in tutto quello che faceva, forse perché si divertiva e aveva l’entusiasmo di un bambino. Ogni volta che scriveva un libro o partecipava a una trasmissione televisiva la prendeva come un gioco, una scoperta. E metteva leggerezza anche nelle scoperte più importanti.

Tra i suoi contributi scientifici più significativi ricordiamo la sorgente ad alte energie chiamata Geminga, acronimo per Gemini gamma ray source, anche termine dialettale milanese che significa “non c’è”. Bignami ne annunciò la scoperta nel 1975, grazie a un’analisi dei dati raccolti dal satellite Sas-2 della Nasa, sensibile alla radiazione gamma. Pur essendo la seconda sorgente gamma più brillante nella costellazione dei Gemelli, Geminga non mostrava alcuna emissione in altre frequenze dello spettro elettromagnetico. Con qualunque altro telescopio la si guardasse, spariva. Geminga, non c’è. Negli anni ’90, studiando i dati raccolti dal satellite Rosat, fu possibile identificare la presenza di una periodicità nella sua controparte a raggi X: Geminga era una pulsar, ovvero una stella di neutroni in rapida rotazione su se stessa. Nel 1993 l’American Astronomical Society conferì a Bignami il prestigioso Premio Bruno Rossi per il suo contributo alla comprensione della natura di questa peculiare sorgente. Uno degli innumerevoli e prestigiosi riconoscimenti che ha collezionato nella sua carriera scientifica. Accademico dei Lincei e membro dell’Accademia di Francia, Ha diretto progetti internazionali in Europa e un importante istituto di ricerca spaziale in Francia, che gli ha conferito la Legion d’onore. È stato il primo italiano eletto alla presidenza del Cospar, il comitato mondiale della ricerca spaziale. In Italia, è stato presidente dell’Agenzia Spaziale Italiana e del nostro Istituto.

È proprio grazie a lui che l’Istituto Nazionale di Astrofisica è uscito fuori dalle mura degli osservatori e degli istituti ed ha cominciato ad essere conosciuto nel paese. È stato lui, ben prima di politici nostrani, ad andare in televisione con felpa munita di logo gigante. Perché era una persona con delle grandi intuizioni, non solo nel campo dell’astrofisica.

Nanni Bignami che se la ride arrampicato sulla parabola di 32 metri del radiotelescipio di Medicina. Foto per gentile concessione di Jader Monari

Ricorderete forse una bellissima pubblicità di un’auto sportiva che parlava del “gene dell’avventura”, beh quella frase era di un bellissimo libro di Bignami “Il mistero delle sette sfere”, e recita così: «Si chiama drd4-7r, è la variante di un gene di Homo sapiens, presente nel 20% di noi, ed è quella che spiegherebbe la nostra inarrestabile spinta a esplorare: così la genetica ci spiega perché noi, unici superstiti del genere Homo e forse unica razza intelligente della nostra galassia, siamo diventati “cosmopoliti invasivi”, come topi o scarafaggi, in continua espansione». Lui quel gene ce l’aveva di sicuro, la sua curiosità era inarrestabile e mi piace pensare che neanche ora si sia arrestata.

Me lo immagino, ovunque sia, impegnato a trovare le risposte a tutte quelle domande che ancora aveva, soprattutto sull’origine della vita nell’universo e se siamo o meno soli. Noi un po’ più soli ci sentiremo sicuramente, perché la sua curiosità ci mancherà davvero.