PRESSIONE INTRACRANICA E MEDICINA SPAZIALE

Astronauti “sottovuoto” per proteggere la vista

Grazie alla collaborazione di otto volontari malati di cancro, i ricercatori sono riusciti a misurare, direttamente dal cervello, la pressione intracranica in assenza di peso durante una serie di voli parabolici. I risultati, publicati sul Journal of Physiology, suggeriscono che, grazie a un particolare dispositivo, i valori potrebbero essere riportati alla normalità anche direttamente nello spazio

     18/01/2017

Esami medici per verificare lo stato di salute dell’apparato visivo di un astronauta dopo un lungo volo nello spazio. Crediti: NASA

Tra gli apparati che maggiormente risentono della microgravità durante i lunghi voli spaziali sicuramente c’è quello della vista (ne abbiamo scritto anche su Media INAF). Gli occhi degli astronauti subiscono pesanti conseguenze soprattutto a causa dell’assenza, sulla Stazione Spaziale Internazionale, di un vero e proprio ciclo diurno-notturno che regoli la pressione intracranica. Già diversi studi in passato (anche di recente) hanno dimostrato come, tra i deficit visivi più riscontrati al ritorno dallo spazio, ci siano quelli causati dalle variazioni di pressione nel cervello e nel liquido spinale, causate dall’assenza di peso. Secondo un gruppo di ricercatori dell’UT Southwestern Medical Center texano, usando uno strumento per abbassare per abbassare la pressione intracranica (vacuum device in inglese) per alcune ore al giorno, si potrebbe risolvere il problema.

I dati emersi dallo studio pubblicato su Journal of Physiology mostrano che la pressione intracranica, in condizioni di gravità zero (quindi nello spazio), è sì più alta rispetto a quando stiamo in piedi o seduti sulla Terra, ma è inferiore rispetto a quando, sempre sulla Terra, stiamo dormendo. La pressione maggiore viene registrata soprattutto nella regione posteriore dell’occhio, che subisce quindi delle vere e proprie deformazioni, dal nervo ottico alla sclera.

A sinistra una delle volontarie dello studio. Crediti: UT Southwestern Medical Center

Lo studio in microgravità è stato condotto sulla Terra grazie a otto pazienti volontari malati di cancro che hanno accettato di farsi installare nella testa – in maniera permanente – un port (nello specifico, il serbatoio di Ommaya), cioè un dispositivo medico che permette di misurare direttamente la pressione intracranica interagendo con il liquido cerebrospinale. I pazienti sono poi stati sottoposti dalla NASA a intervalli di assenza di peso di 20 secondi durante una serie di voli parabolici. Tramite il port installato nel cervello, i ricercatori hanno potuto misurare la pressione intracranica durante le fasi di microgravità, comparandola con i dati raccolti stando in piedi e allungati (supini e con la testa inclinata verso il basso).

«Questi esperimenti sono tra i più ambiziosi mai intrapresi nell’ambito del programma di volo parabolico, e hanno cambiato il nostro modo di pensare all’effetto della gravità (e della sua assenza) sulla pressione all’interno del cervello», dice Benjamin Levine, professore di medicina interna all’UT Southwestern Medical Center.

Individuato il problema, i ricercatori stanno ora cercando di mettere a punto strategie terapeutiche. Hanno dunque provato ad abbassare la pressione intracranica  facendo defluire, mediante un dispositivo che crea il “vuoto”, parte del sangue dalla testa verso il resto del corpo,. Il prossimo passo sarà quello di sviluppare attrezzature per simulare nello spazio la postura eretta durante la fase di sonno per gli astronauti, cercando – così – di normalizzare la pressione intracranica ed evitare gravi cambiamenti strutturali non completamente reversibili del bulbo oculare.

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