COME TI SUPERO IL LIMITE DI EDDINGTON

Luminose come buchi neri: le ULX pulsanti

Il cuore di una ULX non è necessariamente un buco nero: può essere anche una pulsar. A riprodurre il fenomeno con un supercomputer, tramite complesse simulazioni, un team del National Astronomical Observatory giapponese. Con un commento di Matteo Bachetti dell’INAF di Cagliari

     12/09/2016
Rappresentazione schematica del modello elaborato dai ricercatori e, nel riquadro, dei risultati delle simulazioni. In queste ultime, rosso indica le radiazioni più forti, mentre le frecce mostrano la direzione del flusso di fotoni. Crediti: NAOJ

Rappresentazione schematica del modello elaborato dai ricercatori e, nel riquadro, dei risultati delle simulazioni. In queste ultime, rosso indica le radiazioni più forti, mentre le frecce mostrano la direzione del flusso di fotoni. Crediti: NAOJ

Era il 2014 quando, grazie ai dati del telescopio spaziale NuSTAR della NASA, uno studio pubblicato su Nature, guidato da Matteo Bachetti dell’Osservatorio astronomico di Cagliari, dimostrava che il “motore” della sorgente di raggi X ultraluminosa – ULX, come le chiamano gli scienziati – M82 X-2, nella galassia M82, a circa 12 milioni di anni luce dalla Terra, non è un buco nero, come la teoria prevedeva per questo tipo di sorgenti, bensì una pulsar. Ma come può un oggetto così piccolo essere così brillante, si chiesero subito gli astronomi? Ebbene, da allora c’è ancora  disorientamento, da parte degli scienziati, di fronte all’osservazione di quel fenomeno. Una possibile risposta arriva però oggi da una simulazione al computer guidata da Tomohisa Kawashima del National Astronomical Observatory giapponese (NAOJ).

Prima della ricerca del team nipponico, a mettere in crisi l’ipotesi che le ULX potessero essere generate non solo dai buchi neri ma anche da oggetti di massa inferiore era il cosiddetto limite di Eddington. Il limite – o la luminosità – di Eddington è determinato dalla massa dell’oggetto. Ora, poiché le pulsar hanno masse centinaia di migliaia di volte inferiori ai buchi neri che si ritiene alimentino le ULX, le loro “luminosità Eddington” sono assai inferiori a quello che sarebbe necessario per spiegare la luminosità delle ULX. Ma Kawashima e il suo team hanno provato a chiedersi se non ci sia un meccanismo che metta le pulsar in grado di aggirare quella sorta di ingorgo, fra pressione della radiazione in uscita verso l’esterno da una parte e pressione del gas in caduta verso l’interno dall’altra, che funzionando come una sorta di circuito a retroazione determina, appunto, la luminosità Eddington.

«Non è facile sostenere l’accrescimento supercritico nelle stelle di neutroni, perché queste, a differenza dei buchi neri, hanno una superficie solida», spiega Kawashima riferendosi ai processi cosiddetti “super-Eddington”. «La grande sfida è stata riuscire a spiegare come si possa realizzare un accrescimento supercritico in una stella di neutroni con emissione pulsante».

Il super computer ATERUI, un Cray XC30, usato in questo lavoro. Crediti: NAOJ

Il super computer ATERUI, un Cray XC30, usato in questo lavoro. Crediti: NAOJ

Nella simulazione messa a punto da Kawashima e colleghi, i fotoni prodotti dal riscaldamento repentino prodotto dalla caduta del gas verso la stella di neutroni, invece di respingere a loro volta il gas in arrivo si “incanalano” verso l’esterno delle “colonne” determinate dal campo magnetico, ai lati, così il gas può continuare a precipitare senza che il processo si autolimiti, raggiungendo luminosità centinaia di volte superiori a quella Eddington. «Nessuno sapeva se l’accrescimento per colonne supercritico potesse avvenire in una stella di neutroni», dice uno dei coautori dello studio, Shin Mineshige, dell’Università di Kyoto. «Era necessario risolvere contestualmente le equazioni dell’idrodinamica e del trasferimento radiativo, il che richiedeva tecniche di calcolo numerico avanzate e potenza computazionale». Kawashima e il suo team sono infine riusciti a verificare le loro ipotesi grazie al potente super computer ATERUI della NAOJ.

Per capire l’impatto di questa ricerca, abbiamo chiesto un commento proprio a Matteo Bachetti.

«Innanzitutto bisogna dire che il team che ha svolto il lavoro è fra i tre o quattro gruppi più importanti nelle simulazioni di ULX, e sono contento che finalmente qualcuno sia riuscito a simulare al computer questo oggetto, molto più complicato delle ULX con buco nero», sottolinea Bachetti. «Finora, i lavori teorici più convincenti avevano usato sempre delle soluzioni analitiche, ottenute con calcoli “su carta”. Il risultato poi è senza dubbio interessante, anche perché la loro simulazione arriva a ottenere questa luminosità così alta senza invocare alcun fenomeno non-standard».

«Buona parte dei modelli a mio avviso più convincenti nello spiegare questa luminosità così alta», aggiunge Bachetti, «avevano bisogno di un campo magnetico della stella di neutroni molto elevato, ai livelli o quasi dei campi magnetici delle magnetar. Il lavoro di Kawashima et al., invece, utilizza una stella di neutroni con un campo magnetico oltre mille volte più piccolo di quelli usati in quei lavori teorici, riuscendo comunque a ottenere una luminosità ben superiore ad Eddington. Aspetto con curiosità l’evolversi del lavoro di Kawashima e quello di altri gruppi che stanno lavorando sul problema, penso che ci saranno parecchi risultati interessanti nei prossimi anni».

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