LE RACCOMANDAZIONI DELL’ESSC

Scienza dallo spazio con H2020

Lo European Space Science Committee ha indicato alla Commissione europea le priorità da seguire e le strategie da promuovere per la ricerca spaziale, nel periodo 2018-2020, nell’ambito del programma Horizon 2020. I commenti di Roberto Della Ceca e di Paolo Soffitta

     12/07/2016

h2020Quale strategia spaziale per l’Europa? Lo ha chiesto la Commissione europea allo European Space Science Committee nel corso della consultazione per il Work Programme 2018-2020 dell’area spaziale (SPACE) di Horizon 2020. E l’ESSC, il comitato per le scienze spaziali della European Science Foundation, ha ora reso pubbliche le sue indicazioni: una serie di raccomandazioni riguardanti temi come l’osservazione della Terra dallo spazio, lo sfruttamento dei dati scientifici e la promozione del trasferimento tecnologico tramite spin-off. Fra gli ambiti di ricerca scientifica esplicitamente citati dal documento, troviamo la medicina spaziale, le onde gravitazionali, la fisica solare, il tracciamento di asteroidi potenzialmente pericolosi e l’astrobiologia.

«H2020 è una risorsa cruciale per la scienza dallo spazio perché, come chiaramente raccomandato dall’ESSC, dovrebbe permettere il consolidarsi (e sperabilmente il rafforzarsi) delle infrastrutture europee legate all’archiviazione dei dati scientifici e alla loro analisi, con un immenso valore di legacy», spiega a Media INAF Roberto Della Ceca, responsabile dell’Unità scientifica centrale dell’INAF per la gestione dei progetti spaziali, al quale abbiamo chiesto un commento sulle indicazioni dello European Space Science Committee. «L’ESSC ha inoltre evidenziato l’enorme importanza dell’attività di ricerca dallo spazio, se coordinata e in sinergia con l’attività di ricerca da Terra nei diversi campi di interesse scientifico legati sia all’osservazione e studio dell’Universo che alla salvaguardia del nostro pianeta».

Un aspetto sul quale il documento dell’ESSC pone particolare rilievo, incoraggiandone l’impiego in ambito scientifico (come già aveva fatto lo scorso maggio la National Academy of Sciences, la controparte statunitense della ESF) è quello dei CubeSats, piccoli satelliti modulari dai costi assai contenuti, sia per la realizzazione che per il lancio. Non a caso, il loro utilizzo è cresciuto in maniera esponenziale: dai 20 scarsi lanciati nel periodo 2005-2011 agli oltre 120 del 2014, si legge nel documento.

«ESSC raccomanda di valutare e incrementare il ricorso ai CubeSats, una strada che noi come INAF abbiamo già intrapreso con un progetto dello IAPS di Roma in collaborazione con la IMT Srl, una PM specializzata nello sviluppo di nanosatelliti per la realizzazione e la messa in orbita di un polarimetro hard-X per flare solari», ricorda Paolo Soffitta, primo ricercatore all’INAF IAPS di Roma e lead scientist di XIPE. «Questo progetto vede coinvolte anche diverse industrie nel Lazio per la realizzazione di una facility per la costruzione di nanosatelliti di cui il polarimetro per flare solari sarà il primo ad essere lanciato».

«Un altro progetto in cui l’INAF, con IAPS e IASF Bologna, è coinvolto», continua Soffitta sempre a proposito dell’impiego scientifico dei CubeSats, «è HERMES, finanziato attraverso un bando tecnologico ASI, per lo studio delle proprietà temporali dei lampi gamma e dei flare solari mediante una rete di nanosatelliti, ognuno dotato di cristalli scintillatori letti da silicon drift detectors (SDD). La  misura della polarizzazione dei flare solari, con possibili ricadute che riguardano anche lo space weather e lo studio dei lampi gamma, dimostra come anche con la classe dei nanosatelliti sia possibile realizzare esperimenti di elevato valore scientifico».

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