GLI EFFETTI SULLA TERRA NEL PLEISTOCENE

Supernove preistoriche

Le esplosioni di due stelle antiche, situate a circa 300 anni luce, avrebbero esposto il nostro pianeta, circa 2,59 milioni di anni fa, a un’ondata di radiazione cosmica per un lungo periodo, causando un’estinzione di massa minore. Lo suggerisce uno studio pubblicato su ApJ Letters

     11/07/2016
Questa immagine è un mosaico, uno dei più grandi mai realizzati dal telescopio spaziale Hubble, che ritrae la Nebulosa del Granchio, uno dei più famosi resti di supernova. Lo studio pubblicato nell’ultimo numero della rivista Science dimostra che i raggi cosmici galattici provengono da regioni come questa. Credits: NASA/ESA/Arizona State University

Questa immagine è un mosaico, uno dei più grandi mai realizzati dal telescopio spaziale Hubble, che ritrae la Nebulosa del Granchio, uno dei più famosi resti di supernova. Uno studio pubblicato sulla rivista Science dimostra che i raggi cosmici galattici provengono da regioni come questa. Credits: NASA/ESA/Arizona State University

Una ricerca pubblicata su Nature lo scorso aprile forniva alcune ipotesi in merito all’esplosione di due stelle antiche situate a circa 300 anni luce dalla Terra. Ora uno studio appena uscito su Astrophysical Journal Letters, basandosi su modelli numerici, mostra come il sistema biologico del nostro pianeta sia stato esposto con ogni probabilità a un’ondata di radiazione cosmica di lunga durata dovuta a quelle supernove, e come questo possa aver influenzato l’atmosfera terrestre.

«Sono stato molto sorpreso nel vedere la quantità dell’effetto prodotto», dice Adrian Melott dell’Università del Kansas e co-autore dell’articolo. «In realtà, mi aspettavo che ci fosse una quantità minima. Di fatto, le stelle sono esplose a più di 300 anni luce, una distanza che non è sostanzialmente molto vicina». Secondo Melott, inizialmente le due stelle – esplose rispettivamente tra 1,7 e 3,2 milioni di anni fa e tra 6,5 e 8,7 milioni di anni fa – avrebbero entrambe prodotto nel cielo notturno una luce di color blu talmente brillante da disturbare per alcune settimane il sonno degli animali. Si ritiene che questi eventi siano stati i responsabili della formazione della cosiddetta Bolla Locale nel mezzo interstellare, depositando sulla Terra e sulla Luna l’isotopo ferro-60. Ma l’effetto maggiore sarebbe stato causato dalla radiazione che, secondo gli autori, avrebbe determinato dosi equivalenti a una Tac all’anno su ogni creatura terrestre o che viveva nelle parti più superficiali degli oceani.

Rappresentazione artistica di raggi cosmici che stanno impattando sull'atmosfera terrestre.

Rappresentazione artistica di raggi cosmici che stanno impattando sull’atmosfera terrestre.

«Il contributo più importante è quello dei raggi cosmici», continua Melott. «Sappiamo che i raggi cosmici di alta energia sono abbastanza rari. Qui essi aumentano tantissimo, di un fattore pari a qualche centinaio, in un periodo che va da qualche centinaia fino a qualche migliaia di anni. Le particelle di alta energia sono quelle che riescono a penetrare l’atmosfera terrestre. Esse possono spezzare le molecole, strappare gli elettroni dagli atomi, in un processo che va avanti fino al livello del suolo. Di solito, tutto ciò avviene ad alta quota». Dunque, secondo i ricercatori, l’esposizione ai raggi cosmici potenziati dalle due esplosioni stellari avrebbe causato effetti importanti sull’atmosfera e il sistema biologico terrestre. Gli scienziati ritengono che le supernove avrebbero incrementato di 20 volte l’irradiazione dei muoni al livello del suolo terrestre.

«Il muone, un cugino dell’elettrone la cui massa è qualche centinaia di volte superiore, riesce a penetrare le rocce fino a centinaia di metri», spiega Melott. «Normalmente, ce ne sono tanti che colpiscono il suolo e dato l’elevato numero il loro contributo diventa circa un sesto della nostra normale dose di radiazione. Perciò, se ce ne sono stati almeno 20 volte di più, ci troviamo nella situazione in cui la dose di radiazione è triplicata». Dunque, secondo gli autori, l’incremento della radiazione dovuta ai muoni sarebbe stato talmente elevato da accelerare il tasso di mutazione e la frequenza di cancro, anche se non enormemente.

«Eppure, se fosse aumentato il tasso di mutazione, ciò avrebbe accelerato il processo di evoluzione», fa notare Melott. È quindi probabile che un’estinzione di massa minore, avvenuta intorno a 2,59 milioni di anni fa, cioè a cavallo tra l’era del Pliocene e del Pleistocene, possa essere in parte collegata ad un incremento di raggi cosmici che avrebbe contribuito a raffreddare il clima della Terra.

I risultati di questo studio mostrano come i raggi cosmici abbiano ionizzato l’atmosfera terrestre nella troposfera, lo strato più basso dell’atmosfera, a un livello otto volte superiore al normale, determinando così un aumento dei fulmini fino a toccare la superficie terrestre. «Ci fu un cambiamento climatico importante durante queste epoche», conclude Melott. «L’Africa divenne più arida e molte foreste si trasformarono in savana. In questo periodo, e successivamente, si ebbero una serie di glaciazioni e non è chiaro il motivo per cui è iniziato ad accadere tutto ciò. È un argomento ancora dibattuto ma forse i raggi cosmici hanno fatto la loro parte».

Per saperne di più: