NATI DA ANTICHE STELLE GIGANTI

Coppie di buchi neri a gogò

Le coppie di buchi neri massicci, come quelli dalla cui fusione sono state rivelate per la prima volta le onde gravitazionali pochi mesi fa, sono tutt’altro che rare nell’universo. Lo sostiene uno studio su Nature che individua le loro progenitrici in coppie di antichissime stelle giganti

     23/06/2016
Simulazione della fusion di due buchi neri. Crediti: Michael Koppitz / Albert Einstein Institute

Simulazione della fusione di due buchi neri. Crediti: Michael Koppitz / Albert Einstein Institute

Una volta che gli osservatòri terrestri per onde gravitazionali avranno incrementato la loro sensibilità fino al massimo consentito dalla loro tecnologia, potranno rilevare fino a mille fusioni di coppie di buchi neri all’anno (come la prima e la seconda finora registrate attraverso la conseguente emissione di onde gravitazionali), con massa totale risultante compresa tra le 20 e le 80 masse solari.

Lo ha calcolato un nuovo studio pubblicato su Nature in cui vengono presentati i risultati di uno dei più completi modelli numerici dell’evoluzione stellare nell’universo. La simulazione al calcolatore, realizzata da un gruppo di ricerca internazionale guidato da Krzysztof Belczynski dell’Osservatorio Astronomico dell’Università di Varsavia, in Polonia, ha permesso di ricostruire la vita precedente della coppia di astri da cui si sono sviluppati i due buchi neri, la cui coalescenza ha provocato le onde gravitazionali rilevate il 14 settembre del 2015 dagli osservatòri LIGO (Laser Interferometer Gravitational-wave Observatory). Si trattava di due stelle molto massicce, nate probabilmente appena due miliardi di anni dopo il Big Bang.

«L’universo non è lo stesso ovunque», spiega uno degli autori, Richard O’Shaughnessy del Center for Computational Relativity and Gravitation al Rochester Institute of Technology e membro della collaborazione LIGO. «Alcune regioni producono molti più buchi neri binari rispetto ad altre. Il nostro studio prende in particolare considerazione queste differenze».

Le stelle massicce che, alla fine della loro vita, collassano su sé stesse in buchi neri sono estremamente rare all’epoca attuale. Ma nell’universo primordiale esistevano stelle titaniche, pesanti tra le 40 e le 100 masse solari, formate principalmente da idrogeno ed elio, con solo poche tracce di quegli elementi più pesanti, cosiddetti metallici, come carbonio, ossigeno e ferro. Questi elementi, la cui presenza inibisce la crescita in dimensioni di una stella, rappresentano invece circa il 10 per cento di corpi, come il nostro Sole, che si sono nutriti delle generazioni stellari precedenti.

Richard O'Shaughnessy. Crediti: A. Sue Weisler / Rochester Institute of Technology

Richard O’Shaughnessy. Crediti: A. Sue Weisler / Rochester Institute of Technology

«Le zone che rendono pesanti i buchi neri sono estremamente importanti», aggiunge O ‘ Shaughnessy. «Queste rare regioni di gas incontaminato agiscono dunque come fabbriche per la costruzione di coppie di buchi neri, di dimensioni sufficienti affinché la loro fusione sia identificabile da LIGO».

Nel nuovo studio, i ricercatori predicono che tali coppie di buchi neri massicci ruotino in modo stabile, con orbite che rimangono sullo stesso piano. Il modello mostra che l’allineamento di questi buchi neri massicci sia insensibile alla piccola spinta conseguente il collasso del nucleo delle stelle. Una spinta che può invece modificare l’allineamento di coppie di buchi neri più piccoli e far sbandare il loro orbitale.

Naturalmente, il modello necessita di essere messo alla prova. Secondo gli autori, il prossimo ciclo di osservazioni con advanced LIGO potrebbe presto rivelare se le loro previsioni siano fondate o meno. In ogni caso, si otterranno informazioni preziose sui meccanismi di formazione del buco nero stellare.

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