TANTE LE APPLICAZIONI ANCHE IN CAMPO MEDICO

Come ti miniaturizzo l’acceleratore di particelle

Grazie all’applicazione della radiazione al terahertz, un team di ricercatori è riuscito a costruire il prototipo di un acceleratore di particelle in miniatura: il modulo è lungo 1.5 centimetri e ha lo spessore di un millimetro. Lo sviluppo di questa tecnologia è di grande interesse sia per gli acceleratori lineari di prossima generazione che per le numerose applicazioni nella fisica fondamentale, nonché in campo medico

     06/10/2015

acceleratore-miniaturaUn team interdisciplinare di ricercatori ha costruito il prototipo di un acceleratore di particelle in miniatura che utilizza radiazioni al terahertz. Un singolo modulo dell’acceleratore è lungo solo 1.5 centimetri e ha lo spessore di un millimetro. Come ha sottolineato il team di scienziati guidato da Franz Kärtner del Center for Free-Electron Laser Science (CFEL), la tecnologia al terahertz ha mantenuto la promessa di miniaturizzare l’intera apparecchiatura di almeno un fattore 100. Il team ha presentato il prototipo, che è stato assemblato nel laboratorio di Kärtner presso il Massachusetts Institute of Technology (MIT) negli Stati Uniti, con un articolo apparso sulla rivista Nature Communications. Gli autori segnalano numerose applicazioni per questo tipo di acceleratori: nel campo della scienza dei materiali, della medicina e della fisica delle particelle, così come nella costruzione di laser a raggi X. CFEL è una cooperazione tra DESY, l’Università di Amburgo e la Max Planck Society.

Nello spettro elettromagnetico, la radiazione al terahertz si colloca tra la luce infrarossa e le microonde. Gli acceleratori di particelle di solito sfruttano radiazioni elettromagnetiche nelle frequenze radio. L’acceleratore di particelle PETRA III, ad esempio, utilizza una frequenza di circa 500 megahertz. La lunghezza d’onda della radiazione al terahertz è circa mille volte più corta. «Il vantaggio è che anche tutto il resto dell’apparato può essere mille volte più piccolo», spiega Kärtner, che è anche professore presso l’Università di Amburgo e al MIT.

Per il loro prototipo gli scienziati hanno usato uno speciale modulo di acceleratore microstrutturato, sviluppato con lo scopo specifico di lavorare con radiazioni al terahertz. I fisici hanno sparato elettroni ad alta velocità nell’acceleratore in miniatura utilizzando un cannone elettronico fornito dal gruppo del CFEL del professor Dwayne Miller, direttore presso l’Istituto Max Planck per la Struttura e la Dinamica della Materia, nonché membro del CUI. Gli elettroni sono stati poi ulteriormente accelerati dalla radiazione al terahertz all’interno del modulo. Questo primo prototipo di acceleratore al terahertz era in grado di aumentare l’energia delle particelle di circa 7.000 elettronvolt (7 keV).

«Questa non è un’accelerazione enorme, ma l’esperimento dimostra che l’apparato funziona”, spiega Arya Fallahi del CFEL, co-autore dello studio e responsabile dei calcoli. «La teoria indica che dovremmo essere in grado di ottenere un’accelerazione fino a un gigavolt al metro». Questa stima è oltre dieci volte in più di ciò che può essere raggiunto con gli acceleratori migliori a nostra disposizione al giorno d’oggi. La tecnologia degli acceleratori al plasma, anch’essa attualmente in fase sperimentale, promette di produrre accelerazioni ancora più elevate, ma richiede laser molto più potenti di quelli necessari per gli acceleratori al terahertz.

I fisici sottolineano che la tecnologia al terahertz è di grande interesse sia per quanto riguarda i futuri acceleratori lineari, per l’uso che se ne può fare per studi di fisica delle particelle, sia come mezzo per costruire laser ai raggi X compatti e fonti di elettroni per ricerche nel campo dei materiali e per applicazioni mediche. «I rapidi progressi a cui stiamo assistendo consentiranno il futuro lo sviluppo di acceleratori al terahertz», spiega Emilio Nanni del MIT, primo autore dello studio. Nei prossimi anni, il team CFEL di Amburgo prevede di riuscire a costruire in laboratorio un laser compatto a elettroni liberi che emette nei raggi X (X-ray Free Electron Laser, XFEL), utilizzando la tecnologia al terahertz.

L'impianto del laser a raggi X europeo XFEL. In basso a destra la città di Amburgo e in alto a sinistra Schenefeld. Crediti: XFEL europeo

L’impianto del laser a raggi X europeo XFEL. In basso a destra la città di Amburgo e in alto a sinistra Schenefeld. Crediti: XFEL europeo

I cosiddetti laser ad elettroni liberi (Free Electron Laser, FEL) generano lampi di luce laser inviando elettroni ad alta velocità da un acceleratore di particelle lungo un percorso ondulato. Gli elettroni quindi emettono luce ogni volta che vengono deviati. Questo è lo stesso principio che verrà sfruttato dal laser a raggi X europeo XFEL, attualmente in fase di costruzione da un consorzio internazionale, e che partirà dal campus DESY di Amburgo per arrivare fino alla città di Schenefeld. L’intera struttura sarà lunga più di tre chilometri.

Un apparato sperimentale di tipo XFEL che faccia uso della tecnologia al terahertz dovrebbe avere una lunghezza totale inferiore ad un metro. «Ci aspettiamo che questo tipo di dispositivo garantisca la produzione di impulsi di raggi X molto brevi, con durata inferiore ad un femtosecondo (un milionesimo di miliardesimo di secondo)», dice Kärtner. Poiché gli impulsi sono così brevi, sono in grado di raggiungere picchi di luminosità paragonabili a quelli prodotti da strutture più grandi. «Con questi impulsi estremamente brevi speriamo di acquisire nuove informazioni su una serie di processi chimici estremamente rapidi, come ad esempio quelli che avvengono durante la fotosintesi».

Avere una comprensione dettagliata della fotosintesi potrebbe permetterci di replicare artificialmente questo processo e di sviluppare tecnologie sempre più efficienti per la conversione dell’energia solare. I ricercatori sono inoltre interessati a numerose altre reazioni chimiche. Come sottolinea Kärtner, «la fotosintesi è solo un esempio dei tanti possibili processi che vorremmo indagare in maggiore dettaglio». La tecnologia sviluppata per costruire questi laboratori estremi potrebbe ad esempio fornire supporto prezioso per una serie di tecniche di imaging a scopo medico.