IL CASO DEGLI AMMASSI DELLE NUBI DI MAGELLANO

Non c’è sentenza senza appello

Un nuovo studio analizza diversi ammassi in modo omogeneo trovando risultati sempre consistenti con l'ipotesi della dispersione di età, compresi negli ammassi in cui questa dispersione sembra modesta

     30/03/2015
NGC1846, uno degli ammassi studiati da Goudfrooij e collaboratori, che da sempre è stato considerato il classico ammasso della Grande Nube di Magellano con evidenze di una notevole dispersione di età tra le stelle. Credit: NASA and The Hubble Heritage Team (STScI/AURA) Acknowledgment: P. Goudfrooij (STScI)

NGC1846, uno degli ammassi studiati da Goudfrooij e collaboratori, che da sempre è stato considerato il classico ammasso della Grande Nube di Magellano con evidenze di una notevole dispersione di età tra le stelle.
Credit: NASA and The Hubble Heritage Team (STScI/AURA)
Acknowledgment: P. Goudfrooij (STScI)

Alcuni ammassi delle Nubi di Magellano presentano una distribuzione piuttosto ampia delle loro stelle nel diagramma colore-luminosità. Questo effetto è stato scoperto quasi per caso nel 2003 da Giampaolo Bertelli e al., delINAF- Osservatorio Astronomico di Padova, utilizzando dati dal Very Large Telescope dell’ESO, ed è stato poi confermato dai dati molto più precisi dell’Hubble Space Telescope. Fino a pochi mesi fa, si riteneva che la spiegazione più naturale di questo effetto fosse la presenza di una grande dispersione delle età delle stelle in questi ammassi. Invece di formare tutte le loro stelle in un unico evento principale, alcuni ammassi più massicci proseguirebbero a formare stelle al loro centro per periodi di diverse centinaia di milioni di anni.

Tale teoria è sembrata crollare negli ultimi mesi, quando due articoli – uno di Li et al. su Nature (vedi https://www.media.inaf.it/2014/12/18/stelle-della-stessa-eta-in-compagnia/), l’altro di Bastian & Niederhofer su Monthly Notices of the Royal Astronomical Society – hanno “dimostrato” che la dispersione delle stelle era limitata alla fase evolutiva della fusione centrale dell’idrogeno, e si annullerebbe per le fasi evolutive successive, quelle per capirci più instabili. Quindi era nato il sospetto che a causare la apparente dispersione di età fosse la più veloce rotazione delle stelle nelle loro fasi evolutive iniziali, quando le stelle sono più dense e compatte. La loro velocità di rotazione diminuisce quando poi si espandono, esattamente per lo stesso principio fisico per cui un pattinatore rallenta la velocità con cui compie le sue piroette semplicemente aprendo le braccia. Questa spiegazione sembrava aver inflitto un colpo decisivo alla teoria della dispersione di età, ed è stata accolta con un sospiro di sollievo anche dagli esperti di modelli di formazione stellare, che infatti avevano parecchie difficoltà a spiegare questi fenomeni di formazione stellare così prolungata all’interno degli ammassi.

Forse però non è detta l’ultima parola sull’argomento, anzi, le prospettive sembrano ribaltarsi completamente un’altra volta. Uno studio pubblicato su Monthly Notices da Paul Goudfrooij dello Space Telescope Science Institute di Baltimora e a cui hanno partecipato Leo Girardi dell’INAF, Paola Marigo e Phil Rosenfield del Dipartimento di Fisica e Astronomia dell’Universita’ di Padova, Alessandro Bressan della SISSA di Trieste, nonché del bolognese Matteo Correnti ora in forza a Baltimora, dimostra che la dispersione nei diagrammi colore-luminosità di questi ammassi c’è sempre stata, in tutte le loro fasi evolutive, e in quantità tale da essere completamente consistente con l’ipotesi della dispersione di età.

In più, il nuovo studio di Goudfrooij analizza diversi ammassi in modo omogeneo, trovando risultati sempre consistenti con l’ipotesi della dispersione di età, compresi negli ammassi in cui questa dispersione sembra modesta.

«A questo punto, la coincidenza diventa troppo forte per lasciare spazio all’ipotesi della rotazione, e tutti i problemi precedenti ritornano con forza» commenta Girardi. «Sarà interessante scoprire, negli anni a venire, se tali ammassi nelle Nubi di Magellano stiano formando stelle allo stesso modo dei loro ‘bisnonni’, i vecchi massicci ammassi globulari della Via Lattea, nei quali la presenza di popolazioni multiple è già assodata».

Leggi l’articolo su http://arxiv.org/abs/1503.07862